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Caro Passera,ecco la soluzione (israeliana) per le start-up

Stanotte ho fatto un sogno. Stavo mangiando un camogli alla stazione di servizio Secchia sulla A1. Era tarda notte. Nell’autogrill stavano facendo le pulizie. Avevo deciso di ingollare i 4 morsi che rimanevano accanto alla mia automobile quando, d’un tratto, vedo sopraggiungere un corteo di auto blu. Da quella di mezzo, che si ferma proprio di fronte a me, scende il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. I nostri sguardi si incrociano per un istante e, forse per via della situazione di stanchezza che ci accumunava e che ci avvicinava, oltre che fisicamente, il ministro mi offrì un sorriso. Lo colsi immediatamente facendo tesoro del miglior consiglio che appresi al master che avevo frequentato molti anni prima. Quando pensi di avere di fronte qualcuno di importante per il tuo business, hai pochi minuti per svolgere quello che gli anglosassoni chiamano elevator pitch. E così fu.
 
«Ministro ho apprezzato molto la sua idea di un piano per sostenere le start-up». Il Ministro sorride inclinando il capo verso il basso di qualche centimetro, segno di riconoscenza, ma di volersi schermire. Cogli l’attimo mi dico. E lo incalzo: «Ho due osservazioni da fare però da startuppista». Si volta e, questa volta, sembra ben disporsi. Gli dico: «Mi dia i 3 minuti di un elevator pitch» . Ride e fa: «Prego».
 
Parto in quarta: «Il piano per la crescita che deve sostenere le start-up non deve dare finanziamenti con i meccanismi fortemente burocraticizzati come bandi e call. Non c’è via peggiore per fiaccare le gambe fragili di una start-up di quella che li tiene digiune per tanto tempo (tempi della burocrazia) e poi gli riempie troppo lo stomaco senza che contestualmente la start up abbia avuto il tempo di fare la ginnastica necessaria per irrobustire gli arti inferiori.
Il più efficace modello di sostegno che un governo può offrire a start-up ad alto contenuto di conoscenza è quello messo a punto dal governo israeliano: il programma Yozma. Il governo entra nelle società promettenti sottoscrivendo il 40% del capitale di rischio (straniero) raccolto attraverso opportuni fondi di investimento. Il way out consiste in un diritto di call option dell’investitore privato da esercitarsi entro 5 anni. Il privato può decidere di acquistare il restante 40% del capitale, detenuto dal fondo Yozma, al valore del capitale investito più un leggero tasso di interesse. Questo anche nel caso in cui la start-up si sia enormemente valorizzata».
«E poi c’è un fatto. Nel definire le politiche di sostegno occorre notevole discernimento. Occorre diffidare dalle start-up che sono solo veniale, o solo vanesio, esercizio imprenditoriale di qualche professore universitario. Occorre diffidare dalle società che si definiscono start-up ma che poi sono un travestimento di società di consulenza che non hanno prospettive di creare economie di scala».
«E infine c’è il problema dello start-up appunto. Come un neonato, la start-up ha bisogno che qualcuno l’allatti sin da subito (mercato di sbocco) e che ne stimoli l’apprendimento e la crescita (opportunità). In particolare gli stimoli, specie per start-up ad alto contenuto tecnologico, non possono che venire da comparti industriali consolidati e che siano altrettanto tecnologicamente avanzati. Non certamente dal turismo o dall’enogastronomia. Ma da quei comparti come: Aerospazio, Difesa, Automotive, Elettronica e telecomunicazioni, Chimica.
Dire che molti di questi settori in Italia sono disgraziati è dire poco. Penso a Finmeccanica, a Telecom. Non può esistere pertanto una crescita 2.0 senza una privatizzazione 1.0. Ecco».
 
Ma proprio mentre mi pervadeva la sensazione di aver inciso sulle scelte di governo mi ritrovai, solo, a notte fonda, seduto nell’automobile, con il contenuto del camogli rovesciato sui pantaloni.
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