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Cosa fare in caso di attacco terroristico

Essere preparati al peggio sembra essere la parola d’ordine per Scott Stewart, uno tra i più importanti analisti di Intelligence globale ed ex agente speciale del servizio di sicurezza diplomatico Usa, che nell´analisi “When Things go bad” su Stratfor si concentra sui comportamenti e sulla predisposizione psicologica da assumere in caso di attacchi terroristici, sequestri di persona e irruzioni mirate.
 
Stewart sottolinea che il terrorismo domestico rimane una minaccia persistente all’interno dei confini degli Stati Uniti. Lo studioso ricorda inoltre che, nonostante le misure di sicurezza adottate dal 2001, i soft targets, gli obiettivi più esposti e meno protetti, continuano ad essere vulnerabili.
 
Stewart propone dunque alcune dritte che potrebbero rivelarsi fondamentali in caso di un attacco armato.
 
Il fattore più importante di cui bisogna tener conto nei casi di eventi che possono rappresentare una minaccia alla vita è il proprio atteggiamento. Lo choc potrebbe essere talmente forte da creare non solo panico, ma anche una paralisi che potrebbe rivelarsi mortale.
 
Altro punto su cui l’analisi insiste è la necessità per le persone di ammettere e riconoscere che esistono individui che vogliono ferire degli innocenti, e che loro potrebbero essere le potenziali vittime. Bisogna dunque fidarsi delle sensazioni, anche di quelle a pelle, e accorgersi che delle situazioni impreviste potrebbero non essere solo uno scherzo. Prima si riconosce il pericolo, meglio è.
 
Alcune persone hanno criticato la semplicità del video di pubblico servizio “Run, Hide, Fight”, finanziato dal Dipartimento per la Sicurezza della Città di Houston al fine di aumentare la consapevolezza in situazioni come quelle delle sparatorie ad esempio. Il video mostra anche la necessità di avere dei piani di evacuazione. Naturalmente non si tratta di un corso completo di sopravvivenza, ma è prezioso una volta stabilito da dove provenga il fuoco. Si prova inoltre che, fortunatamente, la maggior parte degli attacchi non proviene da tiratori esperti, e questo permette agli individui di sfuggire alla minaccia.
 
L’acronimo MDACC si riferisce invece a “motion, distance, angle, cover and concealment”, e cioè moto, distanza, angolo, riparo e nascondiglio. E’ più difficile costituire un bersaglio se ci si muove, se si è a distanza e se si studia l’angolo tra obiettivo e tiratore. Bisogna poi considerare la differenza tra un nascondiglio, che cela l’obiettivo agli occhi del killer, e un riparo, che può ad esempio proteggere da eventuali colpi di pistola.
 
L’ultimo punto affrontato dall’analisi riguarda “il guerriero interno”, la forza che spinge il ferito a convincersi che il suo corpo può ancora funzionare, dato che la maggior parte dei colpi d’arma da fuoco non sono letali. “Il guerriero interno” rappresenta un aspetto fondamentale anche quando si tratta di combattere e non di scappare o nascondersi, ma Stewart ammette che in questo caso l’argomento si complica eccessivamente.
 
L´articolo originale si può leggere su Stratfor.
 
e.m.
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