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Costi, benefici e rischi delle missioni all’estero

Azzerare tutto e ricominciare. Ovvero: costi, benefici e rischi. Ecco la conclusione dell’intervento di Enrico Letta alla presentazione del rapporto “L’Italia e le missioni internazionali” organizzata oggi alla Camera dei deputati dall’Ispi e Iai. Il vicesegretario del Pd è convinto che i cambiamenti negli equilibri mondiali obbligano a ripensare gli obiettivi delle partecipazioni dell’Italia in queste azioni strategiche. “Un aspetto che è stato colpevolmente affrontato con superficialità dai nostri politici è la dimensione economica di questa partecipazione. Dobbiamo affrontare i costi e le strategie. Francia, Germania e Inghilterra stanno facendo dei passi avanti in quanto ai cambiamenti nello sviluppo dell’industria militare e dobbiamo farli anche noi”, ha detto Letta. L’Italia, invece, è rimasta ferma in questo quadro geopolitico, secondo la sua analisi. Ferma nella chiusura della seconda fase che va dall’operazione Alba nel 1997 in Albania fino alla missione in Libano.
 
Letta, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio e membro della Commissione Difesa, sostiene che occorre lavorare sulla poliedricità della politica italiana sulle missioni e completare il senso di comunità internazionale e la proiezione dell’immagine all’estero. Oltre a dare valore al ruolo del personale civile che è presente in questi territori di conflitto: “La Nato ha un’indiscutibile rilevanza ma c’è un indebolimento dell’Unione europea, che ha un ruolo decisivo e insostituibile. L’Ue non è solo l’euro, ma se fallisce questa concezione, fallisce anche l’euro”, ha detto. Per Letta, questa legislatura è stata “disgraziata” in quanto alla credibilità dei suoi protagonisti, ma sono riusciti a “tenere la barra” sulla partecipazione dell’Italia nelle missioni internazionali. “La prossima legislatura sarà però ancora più complicata perché, se i sondaggi sono validi, ci saranno nuove forze politiche che hanno già dichiarato di avere una posizione molto diversa”, ha avvertito Letta.
 
Le capacità dell’industria militare italiana
 
Sui costi per l’Italia e la necessaria riflessione sul tema è d’accordo Gian Maria Gros Pietro, professore di Scienze delle finanze della Luiss. “Bisogna sviluppare l’attrezzatura che serve ai nostri uomini sul campo di battaglia, con innovazione concreta per l’uso. Servono piattaforme sull’acqua, aria e terra. Ma che cosa è in grado di fare l’industria italiana? E quali sono i costi e i benefici per l’economia italiana? A volte siamo in teatri piccoli che ci costano troppo”, ha detto Gros Pietro.
 
L’economista ha sostenuto che è importante interrogarsi anche sull’adeguamento della produzione: “È giusto piegarsi alle esigenze dell’utilizzatore?”, si è chiesto. Gros Pietro spiega che nel sistema attuale ogni paese deve specializzarsi in quello che sa produrre meglio. È finita l’idea di omogeneizzazione in cui tutti devono essere in grado di fare qualsiasi cosa.
 
Idee, quelle esposte al convegno, che rischiano di rimanere sul piano della retorica e non vedere mai la luce, come ha avvertito il professore Antonello Biagini, prorettore per la Cooperazione e i rapporti internazionali dell’Università La Sapienza: “Uno dei grossi problemi è la difficoltà di trapassare le pareti di queste stanze. Tra di noi siamo tutti d’accordo sull’importanza del ruolo italiano nelle missioni internazionali. Ma poi, fuori, nella presa di decisioni, queste certezze non ci sono”.
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