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La caccia alla spia continua in Homeland 2

È l’azione che caratterizza l’episodio Back to Beirut, in un pathos che non dà tregua al telespettatore, coinvolto fin dalle prime scene in un vortice che lo riporta nel pieno delle azioni terroristiche.
 
Nel bel mezzo degli attacchi di Israele ai siti nucleari iraniani, la moglie di un capo hezbollah in Libano, che Carrie aveva contattato otto anni prima, si ripresenta alla Cia per dare scottanti informazioni. Ma sarà attendibile?
 
Carrie intanto viene rimandata a Beirut per parlarle, ma questo suo ruolo indefinito la destabilizza perché l’analista non lavora più per la Cia ufficialmente, anche se deve operare sotto copertura per loro. Saul, anche lui in Libano, vuole proteggerla e si comporta sempre più come una figura paterna.
 
Il rapporto tra Saul e Carrie è strettissimo, finalmente la ragazza confida la sua angoscia e il suo reale problema con se stessa e il suo lavoro, ma il suo collega-amico sarà messo in condizione di comprenderla bene, solo dopo un gesto, del tutto inconsapevole, di Carrie stessa.
 
Intanto Brody è deputato nel Congresso e si trova ad ascoltare le perplessità del suo amico Mike che sta indagando sull’attentato al Vicepresidente. Troppe lacune nel rapporto, troppe domande e la prima è proprio come ha fatto un cecchino molto preparato come Walker a sbagliare tre volte il bersaglio.
 
Le vite di Carrie e Brody scorrono parallele, ma aspettiamo con trepidazione che finalmente si incontrino nelle prossime puntate.
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