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Mi presento. Sono l’ingegnere nuovo scrittore di successo

Il panorama editoriale da poco più di un anno si è arricchito di un autore che al suo esordio ha dato prova di abilità narrativa. Roberto Costantini con la sua prima opera Tu sei il male, edito da Marsilio nel 2011, è riuscito a dar vita a un thriller coinvolgente, con una scrittura chiara e precisa.
 
Classe 1952, Costantini non nasce come scrittore, ed è questo che stupisce nel leggere le pagine da lui scritte. È un ingegnere e consulente aziendale, nato in Libia, a Tripoli, e dirigente oggi della Luiss Guido Carli di Roma, dove insegna anche al Master in Business Administration.
 
In attesa del secondo capitolo della Trilogia del Male, abbiamo voluto conoscere di più l’autore, cercando di capire le suggestioni e le opere che maggiormente lo ispirano, il suo rapporto con il pubblico e qualche anticipazione del nuovo romanzo. Ecco l’intervista a Formiche.net.
 
Il suo primo libro Tu sei il male è stato un successo di pubblico e di critica. Leggendolo attentamente si capisce che ha chiari i meccanismi e i tempi del giallo. Quali sono le letture di questo genere che più l’hanno ispirata?
Per quello che riguarda meccanismi e tempi, i maestri restano i classici: Agatha Christie, i grandi americani dei vecchi Gialli Mondadori e ancora oggi gli americani come Deaver. Diverso è il discorso sulle atmosfere e la profondità dei personaggi, dove – a parte il mitico Chandler – preferisco gli europei da Simenon a De Cataldo.
 
Il suo primo romanzo è stato scelto come migliore opera prima al Premio Scerbanenco e ha vinto il Premio Azzeccagarbugli al Romanzo Poliziesco. Inoltre è di alcuni giorni fa la notizia che è stato selezionato tra i tre finalisti del Premio Camaiore di Letteratura Gialla. Si sarebbe mai immaginato questo entusiasmo e di gareggiare con un autore molto seguito come Massimo Carlotto?
Questa è una domanda difficile. C’è sempre una bella differenza tra ciò che si immagina e ciò che si spera. Credo che Tu sia il male sia un gran bel noir e quindi ci speravo.
 
Ha avuto anche un riscontro internazionale notevole, la sua è una storia da esportare. Che tipo di rapporto ha con il pubblico straniero?
E’ molto divertente presentare il libro, le ambientazioni, i personaggi, a culture diverse. Ho presentato Du bist das Bose in Germania una ventina di giorni fa in un bellissimo locale birreria strapieno di gente attentissima, con un attore tedesco importante che leggeva pezzi del libro. Alla fine mi aspettavo molte domande, invece nulla. Ho chiesto spiegazioni agli organizzatori e mi è stato detto che in Germania non si usa fare domande dal pubblico all’autore. Sarò a Berlino tra una settimana, riproverò. Invece, quando Alicia Gimenez Bartlett ha presentato il mio libro, mi ha raccontato che in Spagna il pubblico è ancora più interattivo che in Italia. Nel 2013 partono Inghilterra e Stati Uniti, vedremo…
 
Oltre all´ispirazione letteraria, lei ha preso spunto anche da avvenimenti di cronaca nera, come ad esempio il delitto di via Poma o il delitto di Tor di Quinto. Quanto conta per lei narrare anche la società che ci circonda?
Lo spunto è molto diverso dalla cronaca. Ci sono delitti a cui ciascuno di noi, per motivi del tutto personali e soggettivi, è più sensibile. Credo che l’ancoraggio alla realtà sia una caratteristica positiva per chi legge, facilita la comprensione del contesto e delle emozioni. Purché non diventi cronaca, che è altra cosa e richiede livelli di accuratezza che non sono quelli dei romanzi.
 
A un anno di distanza dall’uscita di Tu sei il male, è cambiato il profilo politico del paese di origine del protagonista del romanzo, che è anche il suo paese di origine. A quanto ho letto so che lei aveva “profetizzato” questo cambiamento nei suoi libri.
La trilogia del Male è stata approntata come trama sei anni fa. E immaginava uno scenario finale in Libia e in nord Africa che poi si è verificato nella realtà ben prima che uscissero il secondo libro e il terzo. Ne sono felice, non per le mie previsioni o il mio libro, ma per il popolo libico e per altri popoli nordafricani. Vivere per decenni in una dittatura è come vivere la vita a metà.
 
Il suo punto di vista è molto severo verso coloro che hanno potere e possono permettersi tutto ciò che vogliono, anche a discapito degli altri meno fortunati. Quanto nella vita di tutti i giorni si è scontrato con questa realtà?
Separiamo il mio punto di vista personale da quello di Michele Balistreri, il personaggio principale. Lui ha un carattere che deriva dai torti subiti nell’adolescenza, il periodo in cui i danni sono più forti e poi difficili da rimuovere. Chi si è sentito gravemente tradito, sminuito, offeso, in quegli anni delicati, sviluppa un concetto della lealtà che può essere esasperato, come quando dice a un Senatore italiano che “L’Italia di oggi è governata da una classe politica che è nata tradendo il proprio paese durante una guerra. E da quel vostro esempio tutti gli italiani hanno imparato che la convenienza personale viene prima della lealtà”. Io ho avuto la fortuna di non subire quei danni e di essere quasi sempre dalla parte dei più fortunati. Probabilmente Michele Balistreri mi includerebbe tra i privilegiati, non tra i danneggiati.
 
La città del romanzo è una capitale a tutto tondo, con le sue immense opportunità, ma anche con la violenza che si cela dietro l’angolo. Che legame sente di avere con Roma?
Ho scelto Roma per l’ambientazione per vari motivi. Volendo raccontare una storia italiana, Roma è un pò il ricettacolo delle tante contraddizioni che attraversano il nostro Paese: la bonomia romana ma l’intolleranza verso gli immigrati, il Vaticano e le feste boccaccesche, la bellezza folgorante del centro storico deturpata dalle terrazze a vetri abusive e sanate coi condoni, chi ruba in giacca e cravatta e chi ruba con la pistola… Per il lettore, anche straniero e anche per chi a Roma non c’è mai stato, l’ambientazione è nota.
 
Il bene e il male arrivano e non hanno mai volti nitidi, ma sempre sfocati, forse è questo che rende molto umani i suoi personaggi, anche quelli che ricoprono incarichi religiosi.
Lo impariamo già da bambini. Non ci sono persone interamente buone o cattive. Nella trilogia del Male questo è vero per tutti i personaggi, poveracci, poliziotti, politici e cardinali. Ciascuno di loro ha qualcosa di buono. E “ciascuno di loro avrebbe potuto trovarsi al mio posto quella prima volta” dice il serial killer.
 
Alle radici del male è il secondo capitolo della trilogia. Torniamo indietro alla giovinezza di Balistreri e capiremo quel segreto che tanto lo tormenta e che viene vagamente menzionato in Tu sei il male?
Alle radici del male è in parte un prequel e in parte un sequel. La prima parte si svolge in Libia nella seconda metà degli anni Sessanta, quando Balistreri è adolescente. Lì ci sono i primi delitti irrisolti e i grandi torti subiti. Poi si va al 1982, subito dopo la prima parte di Tu sei il Male, quando Balistreri è un giovane commissario di Polizia a Roma. E parte dei misteri verrà svelata. Resta ovviamente il terzo, il vero sequel della parte finale di Tu sei il Male, ambientato nel 2011.
 
In un certo senso i suoi personaggi cercano in qualche modo di uscire dalla gabbia del loro passato, ma con la sola conseguenza di stringere ancora di più le catene. Il passato viene inevitabilmente a cercarci?
Il passato viene a cercarci se noi non riusciamo a farci i conti. Il che dipende non solo da cosa ci è accaduto, ma dalla nostra educazione e visione della vita. Balistreri ha avuto un’educazione cattolica: colpa, pentimento, penitenza, giudizio finale. Per quanto la detesti, si ribelli, legga Nietzsche e ascolti Leonard Cohen, sempre lì torna. Vedremo come finisce. Nei libri, ovviamente. La realtà è più complessa, se no a cosa servirebbero gli psicologi?
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