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Perché i reazionari sbagliano sul Concilio Vaticano II

Esattamente cinquant’anni fa si apriva il Concilio Vaticano II. Sono infinite le cose che vengono in mente anche solo a uno studioso come me che allora non era neanche nato. Per chi, in effetti, ha avuto e continua a ricevere una formazione cattolica il Concilio Vaticano II ha un’importanza colossale. Forse soprattutto per questa ragione appaiono incomprensibili, al di là dell’ideologia politica che li ispira, gli attacchi che vengono rivolti al lascito conciliare dagli ambienti estremisti e reazionari. Non è vero, ad esempio, l’insinuazione subdola che si sarebbe trattato di un tradimento della tradizione e di una base formidabile per erodere l’autorità immutabile della Chiesa.
 
Certo la Chiesa pre conciliare aveva il fascino trionfante di un’aristocrazia sacerdotale medievale elevata al di sopra della storia, pur esseno inserita ovviamente nella trama del tempo. Ma, in realtà, la verità eterna che l’istituzione deve incarnare e incarna, e che nel passato la romanità ha degnamente rappresentato con perseveranza, non riguarda per niente quanto il Vaticano II ha abrogato. Sono il Deposito universale della Fede, i sacramenti e la loro diretta derivazione da Dio che saldano l’Arca di Pietro all’invisibile verità di Cristo, e non la difesa di una visione elefantiaca del sacerdozio unita ad un’umiliazione passiva della laicità.
 
Il Vaticano II, in fondo, è stato riformatore soprattutto dal punto di vista organizzativo, mettendo al centro della Chiesa non più l’unicità presbiterale di una ieratica aristocrazia anti moderna, ma l’uguaglianza reale e attuale del Popolo di Dio. I cristiani sono tali non perché laici, preti o religiosi, ma perché battezzati e Figli di Dio. E come cristiani devono impegnarsi concretamente ad evangelizzare il mondo. E’ questa la ragione per cui Benedetto XVI ha indetto a partire da oggi l’anno della fede e ha riunito questa settimana il Sinodo dei Vescovi sulla Nuova evangelizzazione. Il nesso, infatti, tra fede, evangelizzazione e apostolato è divenuto con la Lumen gentium il senso autentico della riscoperta e decisiva chiamata universale alla santità, anticipata con lungimiranza e coraggio da molti santi e proclamata solennemente proprio dal Concilio in continuità con la prima esperienza apostolica.
 
La Chiesa oggi è ferita dalle magagne interne e dalle fragilità che tutti sappiamo. A ben vedere, tuttavia, non di più di altre epoche del passato, in cui fungeva da stabile principio della società, e di altre istituzioni presenti. Il ruolo della Chiesa resta, malgrado tutto, indiscutibile architrave di un mondo post secolare sempre meno sicuro di sé, sempre più sfilacciato e liquefatto. La speranza è, quindi, che proprio in questo anno che si attende durissimo per l’economia e incerto per la politica italiana la Chiesa possa riaffermarsi come un baluardo comunitario, un punto fermo inossidabile, che incide con l’azione dirompente e trascinante di singoli laici competenti, impegnati e appassionati.
 
Già, perché la Chiesa di domani dovrà essere la Chiesa che il Concilio ha indicato profeticamente cinquant’anni fa: non un potere pubblico tra i tanti, ma l’espressione complessiva, ordinata, unitaria e visibile della presenza attiva e autorevole di fedeli individualmente diversi ma che vivono sulla terra i medesimi valori. In definitiva, una pluralità omogenea di persone che sentono la missione eroica d’impegnarsi a cristianizzare ed evangelizzare direttamente le realtà temporali così diversificate in cui sono legittimamente e pienamente inseriti.
 
Benedetto Ippolito
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