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Vi spiego il liberismo sociale del Manifesto dei Cento

Il Manifesto “Verso la Terza Repubblica” è stata la seconda delle iniziative nazionali prese in questi giorni da Italia Futura, movimento presieduto da Luca Cordero di Montezemolo.
 
Non si tratta, in realtà, né di un mini programma, com’è stato detto da alcuni, e neanche di una specie di dichiarazione solenne. Siamo davanti piuttosto a un’iniziativa allargata che mira a far emergere un progetto legato alle necessità politiche italiane, una prospettiva aperta, favorita da cento promotori. Tra questi figurano, insieme al sottoscritto, rappresentanti importanti della società civile e alcune figure rappresentative dell’articolato mondo delle associazioni cattoliche.
 
Il fatto stesso che si fissi un appuntamento il 17 novembre per rendere concreto il progetto, mostra come si tratti di un cantiere aperto, la cui adesione non è ancora conclusa.
 
Le idee guida sono piuttosto semplici. Il fallimento della Seconda Repubblica è sotto gli occhi di tutti, al pari della Prima. Con delle differenze, ovviamente. Mentre l’originario cinquantennio di storia repubblicana è morto per il dissesto di una classe politica, gli anni successivi sono stati il fallimento dell’assenza di politica.
Perciò è indispensabile un cambiamento, una domanda riformatrice che muova dalla società per la società e si dipani seguendo di pari passo lo sviluppo stesso della nostra democrazia. Non può crescere l’Italia senza una crescita della cittadinanza e una crescita della partecipazione. Il populismo, infatti, non è una soluzione, come non è una soluzione qualsiasi forma di anti politica. Oltretutto, davanti alla vittoria siciliana dell’astensione, si comprende ancora meglio che neanche il rifiuto della politica può costituire una soluzione compatibile con le necessità.
 
L’idea è, dunque, quella che l’Italia deve sì tornare a giocare in attacco, ma che soprattutto che dobbiamo tutti imparare a fare squadra stando insieme, senza cadere vittime delle faide che da sempre hanno impedito al nostro Paese di costruire e difendere l’interesse nazionale, disperdendone l’utilità nel crogiuolo dei personalismi.
 
Un’impressione che è emersa ad alcuni dalla lettura in falsa riga del Manifesto è che un certo liberismo degli inizi, in specie la sensibilità per una decompressione dello Stato e della forza espansiva della politica rispetto alla società, sia venuto improvvisamente meno in questo caso. In realtà, grazie anche all’ampio spettro che guida la proposta, e che diverrà chiaro con il futuro programma, traspare qui un punto nevralgico che dovrebbe orientare realmente e profondamente la politica della futura Agenda Monti, anche dopo il 2013. L’unica forma possibile di rinascita economica dell’Italia è una diminuzione dei costi dello Stato e uno snellimento amministrativo del burocratismo macchinoso dell’apparato, il quale però non sia ispirato a una logica individualista che è estranea alla nostra storia. La via del liberismo è una strada che deve condurre a rafforzare solidarietà e compattezza sociale, non a disperderne l’efficacia accrescendo l’egoismo. Di qui la differenza di questa base con altre iniziative, ad esempio quelle di Fermare il declino, che pare definire il liberismo in senso strettamente efficientista e individualista.
 
I mezzi, è il caso di dire, possono essere pure gli stessi, in primis la creazione di un nuovo patto fiscale e di un ruolo meno vampiresco del pubblico, ma essi assumono valore diverso in funzione della finalità addotta che si concepisce. Al liberismo individualista, il Manifesto dei cento sembra opporre l’alternativa di un liberismo sociale, il cui obiettivo vuole catturare così l’attenzione delle grandi associazioni cattoliche e solidaristiche presenti nelle nostre città e nella nostra comunità, rappresentandone politicamente la risorsa politica che in esse è indispensabile.
 
Non a caso, a tale mozione potrebbero essere interessati e potrebbero sentirsi coinvolti anche i cosiddetti “nuovi italiani”, ossia chi aspira ad avere diritti civili essendo ormai parte della struttura economica della società, come gli immigrati, e le minoranze religiose, in primis quella islamica e quella ebraica, che non godono a oggi di alcuna rappresentatività.
 
L’Italia migliore promessa dai Cento è un’Italia ben governata, senza utopie e senza ideologie: concreta, coesa e unita. Un’Italia che sappia dare valore alla governabilità, sapendo dove vuole andare e con chi, senza perdersi in miraggi e in falsi miti, come sono, di fatto, il liberismo radicale, l’antipolitica e la rottamazione.
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