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Perché astensionismo non fa rima con grillismo

Ormai sono passate molte ore dalle notizie sui risultati delle elezioni in Sicilia e giunge, inevitabilmente, il momento delle analisi. Sì, perché si tratta del primo vero appuntamento elettorale che apre la pista alle politiche del 2013. Il secondo, si è saputo dal ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, sarà l’election day di Lazio e Lombardia nel prossimo gennaio.
 
Quello che la Sicilia segnala è molto importante. Si tratta della più grande affermazione di monopartitismo che sia mai avvenuta nella storia repubblicana. Peccato che questo coagulo di consenso abbia un nome impronunciabile senza brividi alla schiena, e sia la più inusitata e radicale anomalia pensabile. Si tratta della scelta maggioritaria dell’astensione.
 
Il significato ultimo, autentico di questa diserzione di massa, si sta parlando di più del 50% dell’elettorato, è il nodo politologico fondamentale da sciogliere. Si tratta di capire, in altre parole, la natura di un rifiuto di massa della politica che non può essere associato all’antipolitica se non in modo equivoco. L’antipolitica, infatti, ha convogliato il suo voto sul Movimento 5 Stelle segnando bel oltre il 15% dei consensi. L’antipolitica, invece, non è soltanto un sentimento diverso, bensì ha una caratura opposta rispetto all’astensionismo. Si configura, d’altronde, come un fenomeno noto ai dotti memorialisti, sebbene incomprensibile alle abitudini di pensiero molto superficiali del secolo.
 
Pochi si ricordano, ad esempio, che nel lontano ‘400 c’è stata in Europa la ricomposizione di un grande Scisma che ha avuto i connotati di una vera diaspora storica, sfiorando la guerra civile e religiosa. Quando, dopo la frattura del Collegio cardinalizio, l’elezione del Papa è stata disconosciuta dai cardinali francesi, si sono create ben tre chiese legate alla fedeltà di ciascuna delle corrispondenti nazionalità.
Il risultato gravissimo è giunto a una soluzione perché i teologi di Parigi hanno escogitato la cosiddetta “sottrazione d’obbedienza”, seguendo la quale ogni collegio cardinalizio deponeva il corrispettivo Papa, rendendo possibile così un nuovo Conclave generale, avvenuto in seguito solo a Costanza nel Concilio Permanente del 1414.
 
Ora, che c’entra tutto questo con i risultati della Sicilia?
 
Be’ è abbastanza semplice. Gli elettori siciliani hanno decretato la loro sottrazione di obbedienza, creando un particolare consenso, fondato sul dissenso. Un dissenso positivo il cui senso remoto è di struggente e ossessiva efficacia. I vincitori delle elezioni attuali nell’antica Magna Grecia sono stati, non a caso, proprio due: l’antipolitica e la cessione di partecipazione. La prima ha attraversato attivamente a nuoto la distanza dell’Isola dal Continente mediante le eroiche bracciate di Grillo. La seconda presagisce future sciagure nazionali coniugandosi come snobismo elettorale della classe media inferocita. Una borghesia martoriata, una pletora conservatrice e benpensante, una maggioranza a dir poco silenziosa, che rinuncia alla pratica attiva del governo, cancellando la democrazia, e si afferma come entità politica autonoma, negando però la rappresentatività. Negando la delega ma non protestando, non opponendo una voce, bensì un insieme d’interessi, pensieri e visioni della realtà che non sono più nelle corde di farsi guidare dalla corruzione e dalle chiacchiere di sconosciuti sedicenti politicanti.
 
Tale maggioranza silenziosa, tale base elettorale, infatti, per sua natura non protesta, non va in strada, non conta in sostanza niente. Ma è lei che stabilisce chi vince le elezioni e chi governa il Paese. E’ essa il corpo, il sangue, la pancia e lo spirito della nazione.
 
Bisognerebbe ragionarci a lungo.
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