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Vi spiego perché Renzi è solo un giacobino mediatico

 

In questi giorni non si fa altro che parlare di primarie del centrosinistra. Anche se sarebbe meglio dire che non si fa altro che parlare di Renzi. Bersani, infatti, ha già vinto in partenza, e la sua generosità nel concedere o comunque nel non boicottare il confronto l’ha fatto apparire forte e rassicurante. In una parola, è stato bravo. Renzi, invece, è un caso diverso: forse occorrerebbe definirlo persino un caso a sé.

È il leader più nuovo tra i nuovi. È un progressista, non un riformista. È il rappresentante generazionale di chi ha in sé il tempo, il futuro, se non altro per ragioni anagrafiche. Piace molto, anzi moltissimo a destra e a sinistra. Ma Renzi è anche un coacervo di contraddizioni. Si offre sul mercato politico ormai disossato, senza avere grandi contenuti. Si fa paladino del massimalismo italiano che non ha avuto altra idea politica se non l’antiberlusconismo; ma segue il profilo, il format comunicativo, meglio di ogni altro, proprio di Berlusconi. Si potrebbe stabilire qualche affinità con Veltroni, che per primo ha tentato un’imitazione a sinistra del Cav., se non fosse che a Renzi manca del tutto la retorica pedanteria del maestro di vita che spiega alla società conservatrice italiana cosa deve fare, in nome di un’esperienza fatta più che di libri, di chiacchiere e distintivo.

Renzi non è Berlusconi. Renzi non è Veltroni. Egli, in realtà, ha rivelato a tutti la forza di contrapporsi alla classe dirigente del suo partito in nome di una volontà di egemonia che da Fiesole vola fino a Roma, senza passare dal via.

Ebbene, non mi stupisco per niente che s’insinui, non so se con motivi favorevoli o contrari a lui, il fatto che il Rottamatore, a conti fatti, sia di tutt’altra pasta rispetto al conformismo Pd e alla vecchia sinistra. Anzi, il primo in autorevolezza che ha sostenuto questa tesi è stato chi la creò e utilizzò per primo a danno di Craxi e a favore di Berlinguer nei primi anni ‘80. Sto parlando di Eugenio Scalfari, ossia del fondatore di Repubblica. Egli, qualche mese fa, ha detto precisamente che Renzi non gli piaceva perché espressione ultima e perfetta del significato metafisico, cioè soprastorico, della “mutazione genetica” della sinistra. Un cambiamento dovuto alle radiazioni conservatrici e liberali che Gramsci definiva ataviche nel popolo italiano, in grado cioè sempre di corrompere e trasformare gli ideali rivoluzionari in potere egoistico reazionario. La sinistra deve non tanto rimanere fedele a Marx, questo il teorema, ma restare contraria alla mentalità media del populismo regionale e provinciale, di cui Renzi, invero, finisce per essere il migliore testimone attuale. Peccato che così si neghi frontalmente dignità alla democrazia: un piccolo problemino che si reitera tra i radical chic di Repubblica e che non appartiene assolutamente al “democratico” Renzi.

Che situazione complessa, si dirà. Sì, certo. L’Italia è un Paese cattivo, non solo difficile ma impossibile da governare bene, anche se, in qualche maniera, facile da governare male perché il popolo, mi si perdoni la volgarità, la svacca sempre con qualcuno in qualche maniera, senza risolvere mai nulla.

Se mi chiedete che penso di quel quadro interpretativo che ho riassunto, a costo di apparire un po’ assurdo, è che io non lo condivido per niente. Io credo precisamente che Renzi sia un fenomeno politico, non un politico fenomenale. E i fenomeni si legano in modo ineludibile, sebbene incandescente, a chi si contesta e tenta di archiviare, non riuscendo a dare forma alla materia, come fanno invece i riformatori finanche a danno di loro stessi. Le aspirazioni di Renzi, tante, legittime e concrete, sono legate a doppio filo al popolo della sinistra. Egli perciò non è Berlusconi, il quale anche adesso, nonostante tutto, incarna a pieno la destra italiana. Renzi è la vera opposizione riformatrice interna alla sinistra di potere, essendo fatto della stessa pasta del Pd da cui proviene, come il Manifesto faceva parte, negli anni d’oro del Comunismo, al Comunismo stesso cui aderiva e che contestava integralmente.

Qui si vede la differenza politologica della presente mutazione genetica rispetto a quella di Craxi, con buona pace di Scalfari. Craxi era un liberale e riformatore sotto le spoglie di un socialista autonomista. Ha pagato per questo il salario della liquidazione fisica, come tutti i riformatori. Renzi, molto più modestamente, è un giacobino mediatico appariscente, tutto interno al Pd, funzionale a rompere schemi di potere, non abile però a scardinare gli assetti sociali, e, perciò, innocuo alla fine, come chi non altera e non distrugge mai niente. Egli non ha la vocazione del riformatore e l’animo del rivoluzionario: gli manca la foga e l’istinto, prima ancora che l’autorevolezza e la tempra. Renzi, insomma, destabilizza con leggerezza audace, senza concreta efficacia ma con grande furbizia, una politica che da quella parte è agonizzante da due decenni, proprio mentre dall’altra parte, invece, manca del tutto ogni alternativa credibile.

A causa dell’eccesso di economicismo che impera, forse ci siamo dimenticati la cosa più importante, ossia che la politica è sempre la politica che è e le persone sono sempre persone che sono. E il Renzi che sembra non è altro che Renzi che è: un astuto e promettente uomo della più classica sinistra italiana. Punto e basta.

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