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Sull’energia l’Europa si muove

Pubblichiamo l’articolo apparso sulla rivista online Affari Internazionali scritto dall’economista Valeria Termini

Una rivoluzione tecnologica sta cambiando il mondo dell’energia. Le considerazioni del recente articolo di Alberto Clò su ‘AffarInternazionali’ sul forte impatto economico e geopolitico dell’estrazione di idrocarburi non convenzionali (shale gas e shale oil) negli Stati Uniti sono del tutto condivisibili; danno conto dei cambiamenti straordinari che possiamo attenderci, forse anche da una nuova politica energetica di Obama.

Resta da chiedersi se l’Europa saprà trarre vantaggio da questo processo o se, come traspare dall’articolo del professor Clò, questa rivoluzione renderà ancor più profondo il divario tra le due regioni, di fronte ad un’Europa inerte e conservativa. La risposta non è affatto scontata.

Qualche mese fa il Wall Street Journal, come molti commentatori americani, attribuiva all’Europa una debolezza strutturale che non avrebbe consentito di cogliere le opportunità aperte con la rivoluzione dello shale gas in termini di sviluppo industriale, competitività, sicurezza di approvvigionamento energetico, diversificazione delle fonti, miglioramento dell’impatto ambientale, persino di crescita economica, che invece si percepiva per gli Stati Uniti.

Sarei ben più ottimista, anche se riconosco i problemi e gli interrogativi aperti da una difficile transizione dopo la rottura, che ritengo ormai già consumata, del modello di mercato energetico che per decenni ha dominato lo scenario europeo. Molto dipenderà naturalmente dalla percezione dei cambiamenti in corso e dalla dinamica di sistema che riusciranno ad avere governo, regolatori e imprese della filiera energetica europea.

Nuovi fondamentali
I tasselli del nuovo scenario sono riconducibili a tre fronti. La prima discontinuità riguarda i nuovi fondamentali nel mercato del gas. Tradizionalmente la domanda di gas ha un andamento correlato alla crescita economica, e infatti si è abbattuta nella crisi recente. Oggi invece nuovi elementi strutturali attribuiscono al gas, il meno inquinante tra i combustibili fossili, un nuovo ruolo in Europa e ne cambiano in prospettiva il peso relativo tra le fonti.

Le politiche per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica (CO2), la graduale exit strategy dal nucleare, il ruolo di backup svolto oggi dal gas per le energie rinnovabili caratterizzate da una produzione naturalmente intermittente e, da ultimo, la consistente riduzione del prezzo del gas sui mercati spot che ne favorisce l’uso per la produzione elettrica, fanno prevedere alla International energy agency (Iea), nel recente World Energy Outlook 2012, una crescita importante nella domanda di gas dell’Unione europea nei prossimi due decenni, sia pure al netto degli effetti della crisi economica. Anche per questo il ruolo del gas assume una valenza strategica nuova negli equilibri dell’Unione europea.

Sul fronte dell’offerta la rottura col passato, per l’Europa, è più profonda. L’Europa importa oltre il 60% dei propri consumi di gas. All’aumento del gas disponibile per la raggiunta indipendenza energetica americana, si aggiunge un nuovo elemento dirompente, lo sviluppo del mercato del gas liquefatto (Gnl) che arriva al mercato europeo trasportato per mare nei grandi tankers criogenici ed è destinato a modificare profondamente la struttura dell’industria del gas. Tra il 2008 e il 2012, a fronte di importazioni nette dell’Ue stabili (250mmc), la quota di Gnl è cresciuta del 15%, da 50 a 87 mmc.

Un ulteriore elemento di rottura col passato è poi rappresentato dalla crescita dei mercati spot, stimolata dall’aumento del differenziale tra il prezzo del petrolio, cui sono indicizzati i contratti di lungo periodo di approvvigionamento del gas via tubo (take or pay) e il prezzo spot del gas venduto negli hub europei, fortemente ridotto a seguito della rivoluzione dello shale gas americano e della crescente penetrazione del Gnl.

In soli due anni, il peso dei contratti take or pay nel portafoglio degli importatori europei è sceso dal 79% al 69%, compensato dall’aumento dei contratti spot dal 21% al 31%, mentre la proporzione del gas scambiato sugli hub è salita dall’8 % al 58% tra il 2006 e il 2011.

È significativo dunque l’impatto del cambiamento che già si rileva sul mercato energetico europeo, anche se è difficile immaginare che nel breve periodo si sviluppi una produzione interna di shale gas, nonostante la presenza di riserve consistenti in Francia, Polonia, Ucraina: la densità abitativa del territorio europeo e le stringenti normative di protezione ambientale sono ostacoli obiettivi allo sviluppo di una produzione locale.

Ma saranno sufficienti i volumi di gas a consentire all’Europa una reale diversificazione delle fonti e ai nuovi hub a sviluppare una liquidità adeguata? Conoscendo l’impegno del Qatar nella produzione di Gnl, l’interrogativo principale riguarda ancora la politica americana: raggiunta l’indipendenza energetica, gli Stati Uniti esporteranno gas? Interessi contrastanti emergono su questo fronte, poiché le esportazioni farebbero lievitare il prezzo interno del gas, crollato un anno fa a 2 dollari per milione di British thermal unit (Btu) e oggi risalito intorno ai 3,5 dollari, ancora assai distante dai 16 dollari del mercato Lng in Asia e dai 10 dollari del mercato spot europeo.

L’esito di queste diverse tendenze non è scontato, ma molti segnali sono favorevoli a uno scenario di esportazione. L’allargamento del canale di Panama, che consentirà il trasporto del gas da una costa all’altra e poi verso il Pacifico e l’Europa, sarà concluso per il 2014; su entrambe le coste alcuni impianti di rigassificazione – predisposti per l’importazione di gas liquido – sono oggi in corso di trasformazione per consentire flussi in senso contrario, di esportazione, mentre in Asia e in Europa si intensificano i progetti di costruzione di nuovi rigassificatori. È verosimile ritenere che il volume offerto sarà crescente e che l’Europa rappresenterà un significativo mercato di sbocco.

Dilemmi europei
Il secondo tassello riguarda il cambiamento di regole e comportamenti nel mercato europeo. L’insieme di regole introdotte dalla nuova Agenzia europea per l’energia (Acer) è destinato a creare un cambiamento dirompente nel mercato dell’energia dell’Ue, la cui portata non è stata ancora del tutto percepita.

Le nuove regole approvate da Acer aprono alla concorrenza la capacità di trasporto transfrontaliero del gas tra Paesi membri; ridimensionano il controllo sulla domanda locale, tradizionalmente svolta dai grandi intermediari degli Stati membri e di fatto abbattono le frontiere interne all’Unione. Concorrono così, nei fatti, a costruire quel mercato unico dell’energia che la Commissione auspica da ormai 17 anni e che il Consiglio europeo ha deliberato di completare entro il 2014.

Alle nuove regole si stanno associando nuovi investimenti per sviluppare le infrastrutture che connetteranno le diverse parti dell’Unione, portando il gas da paesi diversi.

Il dilemma istituzionale risiede nella necessità di bilanciare due opposte esigenze nella transizione verso un nuovo modello: da un lato quella di aprire gli Stati membri all’offerta dei mercati spot, più vantaggiosa, dall’altro quella di garantire stabilità di lungo periodo agli investitori per finanziare le infrastrutture che sono necessarie ad aprire il mercato europeo ad altre fonti.

Nuovi rischi
Il terzo tassello, forse il più ambizioso, riguarda la capacità delle imprese europee di ridefinire il proprio perimetro di azione nella filiera dell’industria del gas. Una parte importante di esse, più legata ai tradizionali contratti a lungo termine indicizzati al petrolio, sta soffrendo una importante compressione dei margini di profitto, se non rilevanti perdite.

Alcuni tra questi operatori stanno rinegoziando con successo i propri contratti; il nuovo prezzo spot del gas che si contratta negli hub europei ha giocato un ruolo importante dando un punto di riferimento competitivo e forza negoziale agli importatori e contrapponendoli, spesso vincitori, negli arbitrati con Gazprom per rinegoziare i prezzi assai più elevati dei contratti take or pay tradizionalmente indicizzati al petrolio. La stessa Gazprom è dallo scorso 4 settembre oggetto di un’indagine da parte della Direzione Generale per la Concorrenza della Commissione Europea, per accertare se essa stia ostacolando la concorrenza nei mercati del gas del Centro e dell’Est Europa.

I cambiamenti strutturali in atto stanno portando a un processo di “distruzione creativa”, come lo avrebbe definito Schumpeter, cui le imprese europee sono chiamate a rispondere. Dalla loro capacità imprenditoriale e dalla lungimiranza di governo e regolatori per garantire una transizione ordinata a questo processo imprevisto di cambiamenti strutturali, dipenderà la possibilità dell’Europa di trarre beneficio dal cambiamento in termini di crescita e di indipendenza.

Eppur si muove
La rivoluzione dello shale gas americano e lo sviluppo del trasporto via nave del gas liquido naturale trovano dunque un mercato europeo in forte cambiamento, potenzialmente pronto a cogliere la spinta propulsiva che da quei mutamenti esterni proviene.

Certo, problemi complessi si aprono ora per affrontare una transizione non facile. Gli operatori del mercato europeo si trovano davanti a nuovi rischi e nuove incertezze. Derivano dalla volatilità dei prezzi spot, che richiederanno solidi strumenti di copertura finanziaria, da una diversa articolazione degli anelli della catena industriale, in cui per gli shipper e gli intermediari si stanno con difficoltà definendo nuovi ruoli e la prospettiva di agire in nuovi mercati per ricostruire margini di profitto intaccati dal cambiamento repentino di prezzi, volumi e modalità contrattuali.

La dinamica innestata ha introdotto una rottura inarrestabile in un equilibrio consolidato da decenni, nel quale due esigenze opposte devono oggi trovare un ragionevole equilibrio: da un lato quella di aprire anche il mercato europeo ai flussi di gas (spot e a lungo termine) che consentiranno di diversificare le fonti di approvvigionamento; dall’altro l’esigenza, altrettanto essenziale, di mitigare le condizioni di incertezza che questo sviluppo comporta, garantendo condizioni di stabilità e coerenza delle regole per consentire il finanziamento di investimenti di lunghissimo periodo che il sistema richiede.

La scommessa non è facile. Quello che è certo è che di fronte allo sconvolgimento del mercato del gas mondiale, l’Europa oggi non è ferma.

Valeria Termini è Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Roma Tre, Componente del Collegio dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG), e membro del Board of Regulators dell’Agency for the Cooperation of Energy Regulators (ACER).

L’articolo su Affari Internazionali

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