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Perché Mussari si è dimesso dall’Abi

La mina derivati scoppiata al Montepaschi di Siena tocca l’ex presidente Giuseppe Mussari. Intaccato dalle polemiche sugli anni della sua gestione, l’avvocato calabrese – ma senese d’adozione – ha deciso ieri sera di fare un passo indietro dal vertice dell’Abi, l’associazione che riunisce gli istituti di credito.

“Ritengo di dover rassegnare con effetto immediato e in maniera irrevocabile le dimissioni da presidente dell’Associazione bancaria italiana – ha scrive nella lettera – Assumo questa decisione convinto di aver sempre operato nel rispetto del nostro ordinamento, ma nello tempo, deciso a non recare alcun nocumento, anche indiretto, all’Associazione”. Infatti, come rileva oggi MF/Milano Finanza, avere come presidente dell’Abi un banchiere di fatto sotto scacco almeno mediatico nel giorno in cui iniziava la missione del Fondo monetario internazionale negli istituti per analizzare la contabilizzazione dei crediti dubbi o in sofferenza delle banche era una situazione insostenibile.

Mussari, al suo secondo mandato da presidente, ricopriva questo incarico dal 2010. Già in mattinata si era intuito che la situazione stesse precipitando con le indiscrezioni di stampa, svelate dal Fatto Quotidiano, che raccontavano l’esistenza di un altro contratto di finanza strutturata dal sapore tossico. Si tratta del derivato con nome in codice Alexandria contratto con Nomura e si va ad aggiungere a quello emerso la scorsa settimana (firmato con Deutsche Bank, denominato Santorini). Insieme queste esposizioni potrebbero costare adesso al Monte un buco nei conti del 2012 fino a 700 milioni che verrebbero tamponato con i soldi dello Stato, ovvero con i 3,9 miliardi di emissioni di Monti-bond.

A lanciare l’allarme stavolta è stato il Fatto Quotidiano che ha ricostruito un’operazione di ristrutturazione del debito da centinaia di milioni con la banca giapponese Nomura (sbarcata in Europa con l’acquisto della Lehman Brothers) nel 2009. Responsabili dell’operazione, oltre a Mussari, gli ex Antonio Vigni (direttore generale) e Gianluca Baldessarri (capo della finanza). Il contratto, da qualche mese al vaglio della Procura di Siena, sarebbe servito a Mps per “abbellire il bilancio 2009” scaricando su Nomura le perdite di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto “segreto” a lungo termine non trasmesso dall’allora vertice ai revisori dei conti Kpmg e a Bankitalia. L’accordo, secondo il quotidiano, è rimasto custodito per tre anni nella cassaforte di Vigni.

L’esistenza del derivato è stata confermata dalla banca che adesso vede alla guida il tandem Alessandro Profumo (presidente) e Fabrizio Viola (Ad). Con una nota è stato precisato infatti che l’incremento deciso lo scorso novembre di 500 milioni di euro dei Monti Bond è stato deciso proprio per assicurare la copertura ‘degli impatti patrimoniali’ causati dai derivati, tra cui l’operazione Alexandria.

A gettare ulteriori ombre sul caso è poi il giallo emerso in giornata sulle modalità di sottoscrizione del contratto con Nomura e Mps, che vedono ora le due banche su posizioni diametralmente opposte. Da una parte infatti la banca giapponese sostiene che l’operazione Alexandria sia “stata completamente esaminata e approvata ai massimi livelli di Mps incluso il cda e il presidente Mussari”; mentre da Siena è stato precisato che la questione non è mai stata presa in esame dal consiglio.

Infine, il ruolo dei consulenti di Kpmg. Secondo la ricostruzione del Fatto Quotidiano, che cita una trascrizione telefonica tra Mussari e il numero uno di Nomura, Sadeq Sayed, il presidente avrebbe tenuto al corrente Kpmg sull’operazione ma non avrebbe poi inviato il contratto segreto ai revisori. Fatto sta che adesso Kpmg replica precisando di non essere “mai stata messa a conoscenza di alcun accordo di natura riservata’ tra le parti e che ‘provvederà a tutelare la propria posizione in ogni sede”.

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