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Mps? Così fan tutti (o quasi)

Ma che cos’è, una crisi bancaria, quella che ha colpito il Monte dei Paschi di Siena, o una guerra di tutti contro tutti? A che punto siamo arrivati se il ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, scarica le responsabilità sulla Banca d’Italia, la quale scarica le responsabilità su Giuseppe Mussari e i suoi amministratori, i quali scaricano sulla politica che ha messo pesantemente le mani sulla banca e sulle banche?

Quanto alla politica, il Pdl accusa i Ds, Massimo D’Alema respinge la patata bollente, il sistema senese si chiude a riccio, mentre i populisti da Grillo a Ingroia inzuppano il pane. I grandi banchieri, a loro volta, scaricano la pecora nera: da Giovanni Bazoli a Enrico Cucchiani a Federico Ghizzoni, giurano che loro sono come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto. Invece, tutti dovrebbero capire che siamo di fronte a una crisi di ampia portata. Ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità, senza giudizi sommari, né demonizzazioni.

Mussari ha stipulato contratti derivati, ma davvero è stato l’unico? È chiaro che ha sbagliato perdendo, sembra, 700 milioni: tuttavia chi è senza peccato scagli la prima pietra. In Unicredit i derivati sono il 12,5% dell’attivo, in Intesa meno del 10%, una quota di sicurezza. Attenzione, però: anche i subprime erano un’infima quota nel mercato immobiliare americano. E abbiamo visto cosa è successo.

Dunque, ha ragione Napolitano, il crac Mps è una cosa seria e va affrontata con senso di responsabilità. Serietà vorrebbe che invece di dire io non c’entro, tutti facessero autocritica. Tutti chi?

Cominciamo dal sistema bancario del quale Mussari è stato fino a pochi giorni fa il battagliero rappresentante. Nominato alla testa dell’Abi con il consenso di tutti, costruito in particolare da Bazoli e Giuseppe Guzzetti (che lo ha sempre apprezzato e sostenuto) l’avvocato calabro-senese viene rinnegato prima che il gallo canti. Davvero Montepaschi è un’eccezione? Da almeno dieci anni, derivati e prodotti finanziari più o meno tossici sono stati spalmati dalle banche alla clientela: comuni, regioni, risparmiatori, industriali (l’intero distretto dei divani è stato devastato da scommesse sbagliate sui derivati, non bisogna dimenticarlo), non c’è chi non sia stato direttamente o indirettamente coinvolto nella rete. Un economista che preferisce non apparire per non cadere in conflitto d’interesse, confessa che la differenza vera con le banche americane è che quelle italiane hanno spostato i rischi sui clienti, Cirio, Parmalat, i tango bond insegnano. E la crisi non era ancora scoppiata. Dunque, un invito all’umiltà: ciascuno faccia davvero pulizia in casa propria e nessuno si presenti come santo o come martire.

Un’autocritica gigantesca debbono farla i politici. Cominciando dai Ds, che nella loro frenetica ansia di avere una banca, hanno fatto un pasticcio dopo l’altro. Il Montepaschi finisce nei guai quando, sganciatosi dalla scalata a Bnl nel 2005, viene messo sotto accusa: isolazionista, provinciale, l’unico rimasto zitello mentre tutti facevano matrimoni in apparenza sontuosi, come quello di Intesa con Sanpaolo e di Unicredit con Capitalia. A quel punto, Mussari prende quel che c’è sulla piazza, cioè Antonveneta, la strapaga e si mette nei guai tanto che per imbellettare i bilanci finisce per contrarre nuovi debiti per coprire quelli vecchi.

Non sappiamo se ci sono violazioni civili o penali nell’operato suo, né in quello dei tanti politici dietro le sue spalle. Il problema non è giuridico, bensì politico ed economico. Magari l’intenzione è buona, ma il timing è pessimo, perché le fusioni avvengono in quel 2007 in cui scoppia la crisi finanziaria. E il valore dei nuovi gruppi bancari precipita. Tanto che la somma delle parti non sarà mai maggiore del valore di una singola parte. Intesa da sola valeva più di Intesa-Sanpaolo e viceversa. Alla faccia dei piccoli azionisti. Al governo c’era ancora Romano Prodi. Ma quando è arrivato Berlusconi le cose non sono cambiate. Ed è Tremonti a introdurre i bond salva-banche (a certe condizioni naturalmente).

La Banca d’Italia davvero non sapeva nulla? Certo, le era stato nascosto il contratto Alexandria. Ma è un epifenomeno. La sostanza è quella di un bilancio che perde non i 700 milioni del derivato, ma 6,2 miliardi in 21 mesi, che accumula 17 miliardi di titoli più o meno sofferenti, oltre ad aggravarsi di 26 miliardi in titoli di Stato. Dunque, Grilli ha ragione nel dire che tutti sapevano che Mps era alla frutta, tanto da aver cambiato i vertici e inviato Alessandro Profumo con il mandato di ripulitore. Eraser ha fatto il suo lavoro fino in fondo.

Che fare a questo punto? Ordine e chiarezza, almeno per quel che è possibile. Cuore caldo e testa fredda per compiere le scelte più opportune. Nervi saldi per contrastare speculazioni che in Borsa hanno già fatto man bassa dei titoli Mps. Monti, Grilli, Visco (e per quel che gli tocca Mario Draghi) sono chiamati a una prova importante che serve da discrimine: la crisi del Montepaschi può diventare l’occasione per passare al setaccio le banche italiane per rafforzarle e riportarle alla loro funzione strategica. Il risparmio è un bene comune, ma senza le banche sarebbe impossibile organizzarlo e gestirlo. In questo senso, hanno una funzione fondamentale. Se invece lo distruggono, allora non resta che la sanzione finale.

(sintesi di un’analisi più articolata che si può leggere su www.cingolo.it)



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