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Il Pakistan aspetta la “primavera”

“Il Mali e l’Algeria possono diventare un incubo come l’Afghanistan e il Pakistan,” spiegano con preoccupazione analisti e consiglieri. La lotta al terrorismo islamico si è spostato all’improvviso a poche ore di volo dalla nostre coste ma sullo scenario globale l’Afpak (termine coniato da Richard Hoolbrook, rappresentante di Barack Obama nei due Paesi) resta il teatro più complesso e instabile, un buco nero geopolitico capace di influenzare negativamente l’intera Asia. Dall’11 settembre in poi abbiamo imparato che per controllare l’ingovernabile Afghanistan, bisogna fare i conti con i pakistani. Il problema è che il “paese dei puri” sta vivendo una della solite crisi politiche.  Il  14 gennaio decine di migliaia di persone hanno raggiunto Islamabad dopo due giorni di marcia per protestare contro la corruzione dilagante (pochi giorni dopo la Corte suprema  ha ordinato l’arresto del primo ministro Raja Pervez Ashraf e di altre 15 persone). A guidare la protesta c’era  Muhammad Tahir-ul-Qadri,  giurista e studioso dell’Islam, fondatore e leader di una ong che si batte per  “per far rivivere gli immensi valori morali e spirituali dell’Islam”. I media ne hanno fatto una star dando grandissimo spazio alla sua battaglia per “ridare ai pakistani la vera democrazia”. Qadri ha fatto della lotta alla corruzione la bandiera della sua battaglia contro una classe politica sempre più delegittimata da decenni di scandali. Insomma una specie di Piazza Tahrir in salsa pachistana. A maggio ci saranno le elezioni, le prime a sancire il passaggio da un governo all’altro dopo un intero mandato senza l’intervento dei potentissimi militari. Qadri ha chiesto l’immediato scioglimento del parlamento e la supervisione della magistratura e dell’esercito sul voto. Il giurista e il suo movimento non  sono un partito e non hanno loro candidati. Per questo più di qualche analista vede dietro l’exploit di Qadri la longa manus degli onnipresenti militari e dei servizi segreti (Isi). E’ arrivato il momento di regolare i conti con la classe politica pachistana. Anche la magistratura, espressione della borghesia metropolitana, non ha lesinato sforzi per mettere in evidenza la scandalosa corruzione che ammorba l’economia e la società del Paese. I grandi partiti e le famiglie che gestiscono il potere  politico sono sotto attacco su troppi fronti per sperare di superare indenni questa crisi. La battaglia di frontiere contro gli storici nemici dell’India, le incursioni dei droni americani che uccidono terroristi ma anche civile, le rivolte in Baluchistan contro il governo centrale sono un peso troppo pesante per una classe politica già debolissima. Sta per arrivare, ancora una volta, il momento dei militari. L’anno prossimo gli Stati Uniti abbandoneranno definitivamente il vicino Afghanistan, se i militari vogliono continuare a esercitare tutta la loro influenza su Kabul devono far capire agli Usa e alle altre potenze regionali che in Pakistan, e quindi in Afghanistan, comandano ancora loro.

 

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