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Benvenuti nel piccolo mondo antico di Siena che ha intossicato Mps

Sotto il profilo economico, il problema centrale del Monte dei Paschi di Siena – quale si dipana nelle cronaca che ora dopo ora portano nuove vicende, nuovi protagonisti e nuovi comprimari sulla scena – è quella di un’istituzione con la testa troppo piccola e un corpo troppo grosso.

Il comune di Siena ha circa 55.000 abitanti, la banca 30.000 dipendenti, sei milioni di correntisti e sussidiarie, filiali, uffici e rappresentanze in tutto il mondo. Numerose banche locali sono cresciute e si sono internazionalizzate. In tale processo, però, si sono date statuti e regole adeguate per internazionalizzare anche management e dipendenti.

Ancora oggi, la Deputazione è espressione quasi solamente locale (unica eccezione il rappresentante della Diocesi), i dirigenti sono locali e gran parte dei dirigenti locali. In effetti, un piccolo gruppo locale gestiva la terza banca italiana; al fine di incoraggiare il localismo, il Monte ha creato, negli anni Sessanta, il primo corso di laurea in economia bancaria nel Belpaese.

In questo piccolo mondo antico, l’ex direttore generale è andato in pensione a 70 anni con 6 milioni di euro di liquidazione (e una consulenza già pronta in Fondazione) dopo essere entrato al Monte all’età di 19 anni. E’ questo esasperato localismo che ha portato la banca nella situazione in cui versa ora.

Anche ove i magistrati non riscontrassero reati, è difficile pensare che, prima dei cambiamenti recentissimi di management, una testa così piccola potesse gestire un corpo così grosso: il “piccolo mondo antico” prima o poi cozza con la modernizzazione, utilizza strumenti che non comprende, pensa di potere contare sulla furberia contadina ed artigianale e di farsi i muscoli con la concorrenza tra contrade.

Tale localismo è stato nel dopoguerra PCI, PDS, DS ed ora PD, così come negli anni Trenta era di iscritti al PNF. Ad arbitrare nelle liti tra contrade, e a gestire cosa e chi finanziare, c’era sempre un “federale” (quale che ne fosse il colore della giacca e della cravatta), come si addice ad un comune tutto sommato tanto piccolo quanto litigioso. E’ naturale che in piccolo ambiente legami e faide familiari ed amicali fossero connesse a quelle della gestione dell’istituto.

Conversando con alcuni dirigenti della banca – molto cauti a parlare anche con correntisti dell’istituto – si ha l’impressione che avessero poco dimestichezza con i metodi e le tecniche di gestione del rischio, nonostante si avventurassero in operazioni molto rischiose. Ho cercato, invano, di trovare nella biblioteca del Monte il classico di Georges DionneGéstion des Risques: Histoire, Définition et Critique – testo noto a tutti coloro che seguono questi temi. Anche ove protagonisti e comprimari fossero in perfetta buona fede, è difficile pensare che si rendessero conto dei rischi connessi alle loro operazioni spericolate.

E’ questo forse il nodo centrale su cui riflettere. Al cambiamento di statuto, deve corrispondere un cambiamento della dirigenza e un drastico programma di formazione del resto del personale.

Interrogativo germano a quello sulla “competenza” del Monte è se ed in che misura il supporto finanziario pubblico può far sì che la banca venga risanata e corra sulle sue gambe. Non so al Tesoro, in Banca d’Italia ed alla Consob se sia stata letta l’ultima Quaterly Review (uscita in settembre) della Banca dei Regolamenti internazionale. Vengono passati in rassegna i “salvataggi”, con denaro pubblico, di 87 banche di grandi dimensioni. Il risultato è che sono serviti poco a nulla.

Wagner scelse il Duomo di Siena per ambientare i miracoli nel Castello del Graal in Parsifal. La finanza, però, non è musikdrama.

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