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Cosa succede tra il Vaticano e i lefebvriani

Una lettera di otto pagine inviata dall’arcivescovo Augustin Di Noia, domenicano nonché vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. All’interno di queste pagine potrebbe trovarsi la soluzione, o quanto meno un appiglio, dell’annosa questione dei rapporti tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X. Ma potrebbe essere, soprattutto, secondo quanto scritto da Andrea Tornielli sul proprio blog Sacri Palazzi “l’ultimo passo possibile in vista di un rientro nella comunione con Roma del gruppo tradizionalista”. Ma è proprio così? Qual è lo stato attuale delle relazioni tra la Santa Sede ed i lefebvriani? Formiche.net ne ha parlato con il professore Roberto De Mattei, docente di Storia Moderna e Storia del Cristianesimo presso l’Università Europea di Roma nonché presidente della Fondazione Lepanto, il quale non ha mai nascosto la propria simpatia per l’ala tradizionalista della Chiesa.

La revoca della scomunica
Era il giugno 1988 quando monsignor Marcel Lefebvre consacrò, senza averne ricevuto mandato dal Papa, quattro nuovi vescovi. Lo stesso Lefebvre spiegò di avere agito in quel modo per necessità, per garantire la successione e la sopravvivenza della Fraternità stessa. Una giustificazione che, ovviamente, non bastò a lui ed ai quattro nuovi vescovi per evitare la scomunica da parte della Santa Sede. Il nuovo Papa Benedetto XVI (che è solito celebrare la messa in lingua latina) ha fatto del tentativo di riportare i lefebvriani in comunità con Roma uno dei perni del proprio pontificato sin dall’inizio, tanto da giungere alla revoca della scomunica ai quattro vescovi nel 2009. Tra di loro anche il vescovo Williamson, che in passato negò più volte apertamente il dramma della Shoah, ed ora espulso dalla Fraternità (ma per dissidi interni).

I negoziati tra la Santa Sede e la Fraternità
Dalla revoca della scomunica si sono intensificati i negoziati tra le parti per cercare di arrivare ad un accordo. Numerosi incontri sino al giugno del 2012 quando la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata all’epoca dal cardinale Levada, inviò a monsignor Fellay, il superiore della Fraternità, un preambolo dottrinale approvato direttamente da Benedetto XVI. Nelle intenzioni della Santa Sede, tale preambolo costituiva, ed ancora costituisce, la conditio sine qua non per la riconciliazione. Ad oggi, però, la Fraternità San Pio X non ha fatto pervenire ancora alcuna risposta. Ciò che è certo, però, è che tale preambolo sia stato discusso apertamente all’interno del mondo lefebvriano e, soprattutto, animatamente dato che sembrerebbero esserci state alcune tensioni e diversità di vedute in sede di discussione. C’è chi, però, sembra non condividere questo approccio vaticano del “prendere o lasciare”. Il prof. Roberto De Mattei, infatti, ritiene che “non si può chiudere la discussione in nome del principio di autorità, quando l’autorità non è esercitata verso eretici conclamati, come Hans Kung. Non vedo, francamente, come la Santa Sede possa chiudere le porte a chi pone questioni importanti sul tappeto, mentre le lascia aperte a chi, come il teologo di Tubinga, la contesta sui mass-media in maniera insolente”.

La nomina di Muller alla guida dell’ex Sant’Uffizio
Risale ai primi giorni di luglio la nomina di Gerhard Muller alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede al posto del cardinale Levada. Una nomina, quella di Muller, che di certo non ha generato grandi entusiasmi all’interno del mondo tradizionalista. E lo stesso arcivescovo tedesco non ha mai dimostrata una grande simpatia e considerazione nei confronti dei “seguaci” di Lefebvre. In un’intervista rilasciata poco prima del cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, Muller avrebbe dichiarato che la Fraternità “non è un interlocutore per noi perché la fede non può essere oggetto di trattative”, arrivando, successivamente, ad invitare i quattro vescovi a condurre “una vita esemplare come semplici sacerdoti o cappellani, per riparare ai danni che ha causato lo scisma”. Non tutti, però, ritengono che l’arcivescovo Muller giochi un ruolo chiave nella vicenda. Il prof. De Mattei, infatti, spiega come sia all’arcivescovo Di Noia che “Benedetto XVI ha dato l’incarico di trattare con la Fraternità e nella lunga lettera che ha inviato alla Fraternità, monsignor Di Noia ribadisce con fermezza il suo ruolo di unico interlocutore ufficiale”. Secondo De Mattei, inoltre, “non bisogna dare eccessivo peso alle esternazioni di monsignor Muller, che hanno carattere personale, anche se il linguaggio che adopera nei confronti non solo della Fraternità ma di tutto il mondo tradizionalista, mi sembra irrispettoso ed ingiusto”.

La lettera di Di Noia
Poco prima delle celebrazioni del Natale, l’arcivescovo Di Noia, quasi certamente su ispirazione dello stesso Benedetto XVI, ha inviato una lettera di otto pagine a monsignor Fellay, chiedendo di trasmetterla a tutti i sacerdoti operanti all’interno della Fraternità. In tale lettera Di Noia propone un vero e proprio metodo per cercare di riprendere e portare avanti i negoziato, prevedendo due “vie d’uscita”. Una prima, consistente nel riconoscere il carisma di monsignor Lefebvre, e una seconda che prevede di riconoscere legittime le divergenze teologiche all’interno della Chiesa, con la precisazione che tali “critiche” devono essere espresse internamente e non pubblicamente e che quindi non devono diventare un “magistero parallelo”. Vi è quindi grande attesa con riferimento alla possibile risposta della Fraternità anche perché, nel frattempo, sono sempre più forti le voci secondo le quali i lefebvriani considerano il preambolo come “irricevibile”. Una lettera, quella di Di Noia, che viene valutata molto positivamente dal prof. De Mattei, per il quale “si tratta di un primo passo su una nuova strada, caratterizzata sia da parte della Santa Sede che dalla Fraternità, da un linguaggio diverso rispetto al precedente. Essa è attentamente studiata ed è ricca di belle pagine sulle virtù ed i vizi, in cui l’arcivescovo rivela la sua ottima formazione tomista. Mi aspetto, da parte della Fraternità, una risposta che mantenga lo stesso tono teologicamente e spiritualmente elevato”. C’è chi, come padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha definito tale lettera come “un’iniziativa privata” di Di Noia anche se, francamente, sembra difficile poter considerare di carattere privato una lettera di otto pagine inviata da chi, su incarico del Papa, negozia a nome della Santa Sede con la Fraternità.

Le parole di Fellay
Se dalla Fraternità non arrivano risposte né al preambolo né alla lettera, monsignor Fellay non manca, però, di far sentire la propria voce in maniera diversa. Grande scalpore, e sdegno, hanno provocato le sue parole pronunciate nel corso di una conferenza in Ontario per le quali “gli ebrei, i massoni e i modernisti” sarebbero “i nemici della Chiesa”. Una dichiarazione prontamente “ritrattata” con la precisazione che il termine “nemico” utilizzato da Fellay “era ovviamente un concetto religioso”. Parole che, però, non giovano di certo ai negoziati in corso e ad un possibile riavvicinamento. Su questo, però, non è d’accordo il prof. De Mattei, per il quale “è una dichiarazione che va letta nel suo contesto e che non deve essere strumentalizzata. Non credo che abbia nessun peso sull’andamento dei colloqui”.

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