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Che cos’è, e come funziona, il bilancio Ue

Giovedì 7 e venerdì 8 febbraio, il Consiglio europeo si riunisce a Bruxelles per trattare sulla composizione e l’entità del bilancio comunitario per il periodo 2014-2020.

Un momento importante, contraddistinto da prese di posizione nette, spesso figlie di egoismi nazionali o derivanti da fragili equilibri di politica interna.

Ma quanto pesa realmente il budget europeo sui destini dei singoli Stati e da quali voci è composto?

Che cos’è il budget Ue e com’è finanziato?

Il bilancio europeo non è altro che la spesa che i singoli Stati investono, in quote differenti, nel funzionamento amministrativo delle istituzioni dell’Unione e nei progetti strategici e comuni per lo sviluppo dell’area.

È utilizzato in larga parte per fondi strutturali di sviluppo per le aree svantaggiate e per politiche agricole.

Il budget comunitario – il cui funzionamento è illustrato nei singoli dettagli sul sito web della Commissione europea – è finanziato attraverso tre canali principali. Il primo è costituito dalle “risorse proprie tradizionali”, generate da diritti doganali e quote sullo zucchero. Rappresentano circa il 12% del bilancio UEe Il secondo è legato all’Iva raccolta dagli Stati, e versata all’Ue, consistente in circa l’11% delle entrate del bilancio.

Il terzo e ultimo canale, il più importante perché costituisce i tre quarti del bilancio europeo, è la “risorsa basata sul reddito nazionale lordo” che, in altri termini, è il contributo versato annualmente da ogni Stato in proporzione all’1% del proprio Pil.

Una particolarità: non potendo contrarre debiti, il bilancio europeo conserva sempre un equilibrio tra entrate ed uscite.

L’anomalia britannica: il rebate

Tra gli Stati più agguerriti nel tagliare la spesa comunitaria vi è il Regno Unito, che però allo stesso tempo usufruisce di uno sconto particolare rispetto ai contributi versati, il cosiddetto “rebate”, sul mantenimento del quale il premier Cameron ha promesso di dare battaglia.

Strappato nel 1984 dall’allora Primo ministro Margareth Thatcher, prevede che la Gran Bretagna riceva i due terzi della somma che risulta dalla differenza fra i suoi contributi alla Ue e i fondi che la Ue eroga a favore del Regno Unito.

Un trattamento di favore, giustificato a suo tempo dallo stato di profonda povertà dell’economia britannica, ma che non ha ragion d’essere al giorno d’oggi, secondo il governo italiano.

Per dare un esempio dell’entità del rimborso, nel periodo 2007-2013 lo sconto britannico è ammontato a circa 6 miliardi di euro annui.

Perché all’Italia conviene rinegoziare il bilancio europeo

Per comprendere meglio il bilancio europeo, bisogna essere consapevoli che esso è una struttura mutevole, costruita attraverso estenuanti negoziati.

Ogni Stato ha quindi il diritto-dovere di reggere il confronto con i partner europei, per strappare le condizioni migliori per i propri cittadini.

L’Italia non è sempre stata in grado di interpretare tale missione nel migliore dei modi, diventando – nonostante le tante difficoltà economiche vissute, rispetto ad economie più ricche dell’Unione – uno dei maggiori contribuenti d’Europa, con un esborso netto (ha versato più di quanto ricevuto, al terzo posto dopo Germania e Francia) che dal 2007 al 2011 si è attestato sui 22 miliardi di euro. Una cifra stratosferica, derivante da un meccanismo che il governo guidato da Mario Monti si è impegnato a rinegoziare nella definizione del prossimo budget.

Bilancio 2014-2020: 80 miliardi per ricerca e innovazione

Nonostante il taglio più o meno ampio che dovrebbe contraddistinguere il prossimo budget europeo, la grande parte degli investimenti continuerà ad andare nella direzione di un bilancio improntato alla ricerca, alla coesione e allo sviluppo.

A tale scopo, la Commissione prevede di accordare 80 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 al quadro strategico comune per la ricerca e l’innovazione, integrati da fondi strutturali, con un aumento del livello degli investimenti in ricerca e sviluppo, fino a raggiungere il 3% del Pil.

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