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I capricci dell’austerità

L’11 febbraio al servizio studi della Banca d’Italia ed il giorno successivo al Tesoro, Xavier Timbeau, dell’Office Français des Conjunctures conomiques (Ofce) ha presentato, in seminari ad invito, un documento significativo prodotto in collaborazione con due altri istituti di ricerca: l’Imk di Düsserdolf e l’Eclm di Copenhagen. Si tratta dell’Independent Annual Growth Survey che 15 economisti dei tre istituti fanno su richiesta del Gruppo Socialista e Democratico del Parlamento Europeo e della Fondazione Europea per studi progressisti.

Il documento si pone come controcanto al rapporto annuale sulla crescita della Commissione Europea. Quest’anno il tema è Why Austerithy Should Be Delayed (Perché occorre ritardare le politiche di austerità). L’argomento, che verrà dibattuto a metà marzo al prossimo Consiglio dei Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea (Ue), è di grande interesse. Lo sono, pure, la reputazione dei tre istituti ed il peso politico dei committenti. Offriamo, quindi, un link per chi volesse leggere il testo integrale del documento.

Il documento presenta una diagnosi cupa del futuro a medio dell’eurozona: un aggravarsi della recessione da cui paiono esenti unicamente Austria e Germania a ragione di quella che viene chiamata la Self Defeating Austerity (l’austerità che si danneggia da sola). Le stesse Austria e Germania, però, rischiano di essere tirate in recessione dopo il 2014-2015, con prospettive disastrose per produzione, redditi, consumi, occupazione ed investimenti nell’interna eurozona, tali, per di più, di contagiare il resto dell’Unione Europea (Ue).

Il ragionamento verte essenzialmente sul ruolo del “moltiplicatore” in una fase di recessione. Attenzione a non confonderlo con il moltiplicatore keynesiano ossia con ciò che la spesa (pubblica o privata) attivano nel resto dell’economia (indotto, effetti esterni). Si tratta di quello che in gergo viene chiamato il fiscal multiplier ossia le implicazioni sull’economia reale delle manovre di finanza pubblica. Su tema c’è da qualche anni un dibattito molto vivace animato principalmente da Olivier Blachard del MIT, ora alla guida dell’analisi economica del Fondo monetario internazionale.

In breve, e senza entrare in dettagli tecnici, la “dottrina dominante” è che il fiscal multiplier è molto basso (O,3-07) in periodi di ciclo economico soddisfacente ma elevato in fasi di recessione. Secondo le stime del rapporto, in recessione potrebbe essere attorno a 3 in recessione e arrivare sino a 31 (sic!). La proposta principale del documento è di attivare politiche di bilancio espansive nei prossimi due anni per attuare politiche anche severe di austerità quando il fiscal multiplier sarà a livelli più bassi. Il fiscal multiplier diventa, dunque, il deus-ex-machina della strategia europea di uscita dalla recessione.

La letteratura sul fiscal multiplier (ben riassunta in un riquadro del lavoro) e soprattutto le analisi empiriche danno risultati contraddittori sulla sua effettiva capacità di avere effetti, ed anche di stimarne il valore, nonché se funzioni in modo analogo se si riducono le spese pubbliche o si aumenta il prelievo tributario.

Proprio circa una settimana il Fmi ha pubblicato un lavoro empirico ( il Working Paper No. 12 /286 firmato da Anja Baum, Marcos Poplawski Ribeiro e Anke Weber) sulle economie del G7 (escludendo, però, l’Italia per mancanza di dati). Le conclusioni sono un appello a non essere apodittici: il “moltiplicatore” varia a seconda del resto della politica economica di un paese (specialmente di quella della moneta) del momento del ciclo economico in cui viene stimato. Per l’Italia è anche un invito a darsi un apparato statistico ed analitico all’altezza; ricordiamo che la matrice di contabilità sociale più recente risale a circa vent’anni fa (si tratta di strumento essenziale per stimare, con appropriato modellistica econometrica) il fiscal multiplier. L’Istat – è vero – sta lavorando a nuove stime, ma occorrerà aspettare un paio di anni prima che siano elaborate.

Al di là di questo aspetto “tecnico” ci sono due punti politici: quale sarà il futuro della politica monetaria (tra l’altro, il Sebc , Sistema europeo banche centrali, esiste ancora od è decaduto)? Che gestirà la politica del cambio dell’euro rispetto a dollaro ed a yen e quali saranno le direttive , dato che gli Stati dell’eurozona sembrano , su questo tema, in lotta continua?

In breve, la diagnosi convince più delle proposte.

Ecco il link del documento

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