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Ecco come Pechino replica alle accuse sugli hacker cinesi

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Le accuse contro i militari cinesi di essere dietro una lunga serie di attacchi informatcii sono infondate e non attendibili. Il ministero della Difesa di Pechino ha replicato al dettagliato rapporto della società di sicurezza informatica Mandiant che di fatto fa risalire gli attacchi a un corpo scelto dell’Esercito popolare di liberazione con base nel quartiere finanziario di Shanghai.

Le Forze armate cinesi non hanno mai appoggiato alcun attacco informatico, ha detto il portavoce del dicastero, Geng Yansheng. Le leggi cinesi vietano qualsiasi attività che possa violare la sicurezza informatica, ha aggiunto in una replica alla Casa Bianca.

Ieri l’amministrazione statunitense aveva sottolineato di aver espresso in più occasioni le proprie preoccupazioni in confronti con funzionari del governo cinese al più alto livello. “C’è una sostanziale e crescente preoccupazione per le minacce poste all’economia e alla sicurezza statunitense dalle intrusioni informatiche, compreso il furto di informazioni commerciali”, è la posizione di Washington.

Come ricorda Foreign Policy le dichiarazioni statunitensi arrivano quando è trascorsa una settimana dalla firma del presidente Obama di un ordine esecutivo sulla sicurezza informatica con l’obiettivo di condividere informazioni attraverso lo sviluppo di applicazioni e il coinvolgimento di partner industriali per proteggere le infrastrutture critiche del Paese: trasporti, banche, reti energetiche, telecomunicazioni e società che forniscono servizi nel campo della difesa.

Dopo la prima replica del ministero degli Esteri ieri, oggi è stato invece la Difesa a criticare il rapporto di Mandiant e le accuse che tirano in ballo l’Unità 61398 per il furto di centinaia di terabyte di dati sottratti ad almeno 141 società in gran parte statunitensi.

Per Pechino il rapporto è privo di fondamento perché il collegamento tra gli attacchi e l’esercito è stato possibile soltanto con la scoperta di indirizzi Ip in Cina.

“È noto a tutti che l’usurpazione degli indirizzi Ip altrui sia un metodo usato per condurre attacchi informatici. Accade ogni giorno”, ha detto il portavoce del ministero. “Inoltre manca una definizione chiara e coerente su che cosa si intenda per attacchi informatici. Infine gli attacchi hacker sono transnazionali, anonimi e ingannevoli. Con fonti difficili da identificare”, ha aggiunto senza tuttavia evitare di sottolineare come, secondo le informazioni raccolte dalla Cina, molti attacchi partano proprio dagli Usa.

L’ennesimo atto di uno scontro che va avanti da tempo, riacceso negli ultimi tempi dalla denuncia di intrusioni nei sistemi del New York Times, collegato a uno scoop sulle fortune del primo ministro cinese Wen Jiabao, e ai sospetti di legami con i militari cinesi per alcune delle principali società nel campo tecnologico della Repubblica popolare, come la Huawei.

Come notava lo stesso NYT nell’articolo in cui denunciava gli attacchi ai propri sistemi, non si tratta di una strategia usata soltanto dai cinesi. Anche gli stessi Stati Uniti, Israele e la Russia sono legati a casi di intrusioni e attacchi informatici

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