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L’Italia al centro degli equilibri fra Bce e Fondo monetario

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore, l’articolo di Guido Salerno Aletta uscito su MF/Milano Finanza

“Richiamate i cani!”: la partita di caccia, in cui l’Italia frastornata dal dopo elezioni avrebbe dovuto fare nuovamente da preda sui mercati, è sospesa. Si gioca ad un piano più alto, quello degli equilibri geopolitici, che hanno un livello di autorità ed una continuità di lunghissimo periodo, plurisecolare. Banche e speculatori hanno già fatto il loro lavoro negli scorsi tre anni, indebolendo gli assetti degli Stati dell’Europa meridionale, inconsapevolmente funzionali a due disegni strategici contrapposti: il primo cerca di sfruttare la crisi finanziaria, enfatizzandola, per accelerare il passaggio ad un’Europa politica a guida tedesca, in cui la Francia è solo una apparente comprimaria; il secondo vede nell’aggravamento della crisi dell’Europa meridionale la possibilità per ritardare l’obiettivo, renderlo politicamente inaccettabile e rimettere finalmente in discussione l’egemonia franco-tedesca consolidatasi sin dagli anni novanta.

L’interesse inglese per l’Italia

L’Italia è, come sempre, al centro degli equilibri continentali e della attenzione dell’Inghilterra, a cui è stata sempre a cuore la nostra indipendenza da Francia e Germania. Basta rileggersi un po’ di storia: dalla presenza in Sicilia per bloccare l’avanzata napoleonica nel 1812, alle iniziative di Garibaldi, di casa a Londra, per unificare l’Italia nel 1860 portando in dote al Regno sabaudo, indebitatissimo verso l’estero, non solo il Regno delle due Sicilie ma soprattutto l’oro del Banco di Napoli. Il nesso tra debiti pubblici all’estero ed alleanze internazionali rappresenta un dato strutturale della storia dell’Italia, la cui importanza negli equilibri europei è sempre stata enorme, e lo è ancor più oggi in un momento di grande fibrillazione nel Mediterraneo.

Il retrofront dei mercati e del Fmi

Non è questione solo di soldi, quindi, ed i mercati ci stanno ripensando: dopo la fiammata dello spread ed il crollo della borsa il giorno dopo i risultati elettorali italiani, c’è già maggiore cautela. I report delle grandi banche sono divisi, tra chi insiste per il rigore e vede nella instabilità politica italiana un fattore di rischio e chi vede nell’instabilità il frutto di politiche di severità eccessiva: non è casuale che il Fmi, da sempre considerato un falco, già da alcuni mesi predichi prudenza. Sede a Washington e Presidenza francese la dicono tutta di questa svolta. La Francia stessa è combattuta al suo interno, tra l’ambizione di proseguire nell’asse con la Germania e la consapevolezza di una crescente ed insostenibile debolezza conomica.

No al ricorso allo scudo anti spread Bce

In Italia, ed in giro per il mondo, ormai è chiaro che un ulteriore agguato speculativo sui nostri titoli pubblici pregiudicherebbe in questo momento entrambi le strategie geopolitiche. In teoria, una nuova pesante sarabanda comporterebbe la richiesta di intervento da parte del nostro Governo e la conseguente definizione delle misure a cui sarebbe condizionato. In questo momento di transizione, però, sarebbe ben difficile per il Governo Monti, dimissionario ancorché rimasto in carica per il disbrigo degli affari correnti, avviare una richiesta del genere e soprattutto contrattare alcunché: ogni atto in tal senso verrebbe considerato come un inaccettabile condizionamento nei confronti del successore. In ogni caso, ci si troverebbe di fronte ad un duplice paradosso: la richiesta di un commissariamento “preventivo” e la difficoltà di individuare ulteriori compiti a casa che l’Italia dovrebbe svolgere, al di là del mantenimento delle misure finanziarie già decise.

Il pericolo della speculazione per il piano della Bce

Il nostro bilancio si mostra in linea con tutti gli impegni assunti ed il commissariamento verrebbe chiesto e disposto al solo fine di evitare che il nuovo Governo possa compiere i “passi falsi” temuti dal mercato: nessuno sarebbe disposto ad accettare una simile forzatura da parte dei mercati. La Bce sarebbe costretta ad assumere interventi extra ordinem e la speculazione correrebbe il rischio di rompere l’ultimo giocattolo che gli è rimasto in mano in Europa: verrebbe meno ogni legittimazione politica dello spread, che è la clava con cui i mercati puniscono razionalmente chi sgarra. Da una parte ciò segnerebbe la fine dell’architettura disegnata dalla Germania, in cui si alternano il bastone dei mercati e la carota degli aiuti europei, e dall’altra la Bce forzerebbe definitivamente i limiti del proprio mandato istituzionale pur di salvare l’euro, allineandosi di fatto alla Fed e alla Bank of England. Meglio star cheti.

La severità dell’asse franco-tedesco

C’è poi una seconda ragione, politica, che induce a tenere la bocca chiusa, soprattutto in Francia e Germania, se si fa eccezione per l’appello rivolto all’Italia dal Ministro delle finanze tedesco Wolfang Schaeuble affinché si acceleri il più possibile la formazione del nuovo Governo per evitare un possibile contagio. Il nostro Presidente della Repubblica ha seccamente replicato: primo, il Governo Monti, benché dimissionario, è e rimarrà in carica fino al giuramento del nuovo; secondo, nessun contagio può partire dall’Italia, che non è afflitta da alcun male. Un riferimento neanche tanto velato a guardare a ben altre violazioni degli impegni europei, ad esempio quelle che caratterizzano il bilancio francese, che ha un deficit per il 2013 che sforerà il tetto convenuto del 3%. Mentre l’Italia punta al pareggio di bilancio, congiuntura permettendo. Insistere sulla instabilità politica italiana si ripercuoterebbe negativamente sullo stesso disegno di severa stabilizzazione delineato nel Fiscal Compact dall’asse franco-tedesco: si finirebbe per dare ragione a coloro che addebitano all’eccessivo rigore, e soprattutto alla arrendevolezza con cui il Governo Monti ha applicato le misure di risanamento, la causa prima del clamoroso successo del Movimento 5 Stelle e quindi della instabilità di cui ci si preoccupa.

Gli equilibri geopolitici

Arriviamo al terzo punto, che riguarda gli equilibri gepolitici. La cautela sui mercati e le contrastanti letture dei report dei vari analisti si spiegano con il fatto che i nuovi equilibri parlamentari in Italia potrebbero favorire l’Inghilterra, che finora è stata fuori dal gioco di squadra condotto da Germania e Francia al fine di accelerare la creazione della Unione politica europea con la scusa di dover garantire la stabilità dell’euro. I mercati avevano scommesso sulla vittoria della accoppiata Bersani-Monti, nell’ambito di una campagna elettorale giocata nell’ambito del consueto schema bipolare, al cui interno si sono collocate due novità assolute: Scelta civica, la formazione creata dal Premier Monti “salito in politica”, e Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo.

L’asse Bersani-Hollande e quello Monti-Merkel

Una ampia vittoria elettorale del centrosinistra, numericamente autosufficiente sia alla Camera sia al Senato, avrebbe creato le condizioni per una liaison italo- francese, un asse Hollande-Bersani che avrebbe potuto oggettivamente frenare il ritmo frenetico imposto dalla Germania alle politiche di risanamento. In questo contesto di autosufficienza del Partito Democratico, la inclusione della componente di Monti nella maggioranza avrebbe rappresentato poco più che un gesto di dovuto riguardo. Diversamente, un risultato elettorale che avesse attribuito alla Lista Monti la rappresentanza numerica necessaria e sufficiente per assicurare la maggioranza con il centrosinistra al Senato avrebbe blindato in senso più filo-tedesco la coalizione: la decisione di “salire in politica” è stata sicuramemte determinata dalla volontà di avere una forza politica propria ed autonoma, capace di condizionare il centrosinistra senza ripensamenti e scantonamenti.

Il risultato italiano strategico per la Gran Bretagna

Il quadro parlamentare uscito dalle elezioni, politicamente disallineato rispetto alle attese, favorisce invece le prospettive del pragmatismo inglese che non vede di buon occhio l’unità politica europea. Se è vero, infatti, che una uscita della Inghilterra dall’Unione, ipotizzabile sulla base del referendum preannunciato dal Premier David Cameron per il 2015, la indebolirebbe visto che l’asse franco-tedesco rimarrebbe l’unico vettore politico ed economico nel continente, è altrettanto vero che un quadro politico italiano non immediatamente funzionale ad un rapporto preferenziale con la Francia o la Germania, la aiuterebbe nella strategia secolare volta a contrastare qualsiasi egemonia politica continentale.

La necessità italiana di allearsi alla posizione inglese

Ecco che, a questo punto, la “questione italiana” diviene nuovamente centrale per ridefinire gli equilibri europei. Il risultato elettorale contribuisce a rimettere in discussione sia il processo di riduzione dei debiti pubblici in un contesto fortemente recessivo sia la prospettiva che si arrivi ad una sovranità europea condivisa senza che l’Italia ottenga adeguate contropartite economiche a suo favore. L’Italia si trova nella necessità oggettiva di allinearsi alla tradizionale posizione inglese, che condiziona da sempre la sua partecipazione all’Unione europea all’ottenimento di un “equo ritorno economico”. Torneremmo a chiedere una sorta di clausola di protezione, analoga a quella che fu già allegata al Trattato di Roma del 1957, in cui la Comunità “prendeva atto del fatto che il Governo italiano era impegnato nell’esecuzione di un programma decennale di espansione economica volto a sanare gli squilibri strutturali dell’economia italiana, in particolare grazie all’attrezzatura delle zone meno sviluppate nel Mezzogiorno e nelle Isole e alla creazione di nuovi posti di lavoro per eliminare la disoccupazione”, e riconosceva la necessità della massima cura affinchè le misure di riequilibrio richieste al Governo italiano salvaguardassero “il compimento del suo programma di espansione economica e di miglioramento del tenore di vita della popolazione”.

Alleanza politica come stimolo alle partnership economiche

Tra Inghilterra ed Italia, un riallineamento strategico nei confronti dell’Unione europea potrebbe dare la stura a nuovi rapporti bilaterali, tra finanza ed industria. Nel ’92 il Britannia accostò nei pressi di Civitavecchia: per sistemare i conti pubblici, lo Stato italiano doveva vendere i suoi gioielli. Stavolta, i conti pubblici di entrambi i Paesi si sistemano solo se le loro economie riconquistano competitività. Anziché rassegnarsi ad una ulteriore spoliazione, con le imprese italiane svendute pur di sopravvivere, si potrebbe avviare una più lucrosa prospettiva di reverse- industrialization guidata dalle nostre imprese. In Inghilterra c’è quell’ampia flessibilità e la finanza che da noi mancano, mentre da noi le medie imprese sono una eccellenza di nicchia che ha difficoltà a crescere: sarebbe una partnership proficua per entrambi, anche in vista della penetrazione sui mercati globali.

Siamo ad una svolta: la ricetta franco-tedesca l’abbiamo già provata ed i risultati sono sotto i nostri occhi. Forse, dovremmo muoverci, e risalire rapidamente il Tamigi: è probabile che a Londra non aspettino altro.

Italia quota interessi debito pubblico sul Pil dal 1850

 

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