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Dubbi, misteri e sorprese dei punti grilleschi di Bersani su lavoro e pensioni

Non sappiamo se il guru Beppe Grillo abbia attentamente vagliato il pacchetto degli otto punti che Pier Luigi Bersani – che ha subito dimenticato la campagna elettorale condotta contro il populismo – vuole portargli in dote per convincere il M5s ad appoggiare il tentativo che si appresta a compiere (Napolitano permettendo) di dare vita ad un esecutivo di minoranza in grado di ottenere la fiducia anche al Senato, navigando poi a vista fino a quando piacerà all’ex comico e al suo cappelluto “consigliori” (a pensarci bene la terribile coppia Grillo-Casaleggio presenta, in modo rovesciato, la medesima ossessione per le chiome di Silvio Berlusconi).

Cercansi giuslavoristi a 5 stelle

Di certo, se al movimento non mancano ufologi, cultori revisionisti di storia patria, precari assatanati dal web e quant’altra umanità va annoverata tra il “nuovo che avanza”, non risultano esserci giuslavoristi di vaglia. Altrimenti, quanto meno i punti che riguardano il lavoro e il welfare della faticosa elaborazione bersaniana sarebbero già stati rispediti al mittente, perché, prima ancora che sul piano politico, è proprio sul piano tecnico che emergono particolari aspetti critici.

I punti bersaniani su lavoro e welfare

Le relative proposte si trovano – messe lì alla rinfusa – nei sottoparagrafi dal  2.4. al 2.7.  Si comincia con la proposta di ridurre il costo del lavoro stabile per eliminare i vantaggi del ricorso al lavoro precario. Il primo dovrebbe costare meno del secondo. E’ un vecchio pallino della sinistra destinato a non produrre nessun posto di lavoro stabile in più ma molti posti precari in meno.  Noi eravamo convinti, però, che tale problema fosse stato risolto dalla legge n. 92 del 2012 (la riforma Fornero), in forza della quale sul lavoro a tempo determinato grava un sovraccarico di aliquota pari all’1,4%, mentre il prelievo sugli iscritti alla gestione separata presso l’Inps (co.co.pro e partite Iva) è destinato ad allinearsi, entro il 2018, al 33% già stabilito per il lavoro dipendente.

I dubbi di illustri esponenti del Pd

Nella passata legislatura (e durante la campagna elettorale) ad illustri esponenti del Pd questa uniformità forzata era sembrata assurda, anche perché finiva per penalizzare le categorie più deboli del mercato del lavoro. Si vede che ci siamo persi qualche passaggio importante e che non c’è limite al peggio, considerando gli effetti deprimenti per l’occupazione già prodotti  dalla legge Fornero.

La frase sibillina

Ma il bello deve ancora venire, perché nel testo del  sottopunto 2.4. spunta una frase sibillina di ardua interpretazione: “Superamento degli automatismi della Legge Fornero”. Quali potrebbero essere i perversi automatismi da superare? Ieri mattina di buon ora abbiamo rivolto la domanda al ministro stesso, trovandola, al pari di noi, non in grado di sciogliere l’enigma. A tarda serata, dopo molte consultazioni, una deputata del Pd, rieletta e di buon cuore, ci ha spiegato che il passaggio controverso si riferiva inizialmente non già alla riforma del lavoro, ma a quella delle pensioni e segnatamente alla norma – introdotta dal precedente governo Berlusconi che è stata tanto apprezzata in Europa – riguardante l’adeguamento automatico dell’età pensionabile al progredire dell’aspettativa di vita. Prendiamo per buona questa spiegazione.

I restanti dubbi

Tenendo, tuttavia, conto della collocazione, ce ne potrebbero essere altre, tra cui la seguente: dal momento  che si parla di lavoro e non di pensioni, il “superamento” potrebbe riferirsi all’Aspi ovvero al nuovo sistema di ammortizzatori sociali, che assorbe le indennità di disoccupazione e di mobilità  e che è entrato gradualmente in vigore all’inizio dell’anno per andare a regime a partire dal 2018, sostituendo il meccanismo attuale (ricordiamo tutti che un settore del Pd voleva rallentarne il percorso) che invece godrebbe di una proroga. Certo non è un bel vedere che su di un aspetto importante sorga il dubbio che si tratti, più o meno, di un refuso.

Gli altri punti oscuri

Ma tiriamo pure avanti, fino ad imbatterci nella richiesta di un salario o compenso minimo “per chi non ha copertura contrattuale”. In sostanza, con questa definizione si cerca di dare un colpo al cerchio dei sindacati ed uno alla botte di Grillo. Cgil, Cisl e Uil, infatti, sono contrari all’istituzione di un salario minimo che, a loro avviso e non a torto, indebolirebbe l’applicazione dei minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva, a cui fa riferimento una giurisprudenza consolidata  relativa all’articolo 35 della Costituzione. Contestualmente, Bersani introduce il concetto di un livello minimo legale al di sotto del quale, laddove non operi la contrattazione, non è consentito di retribuire una prestazione lavorativa. Nulla quaestio, salvo ricordare che tutti i settori riferiti al lavoro dipendente hanno una copertura contrattuale, la quale non opera, invece, in talune fattispecie flessibili (rapporti a progetto e partite Iva).

Analogie e contraddizioni con la legge Fornero

Il fatto è che, in questi casi, a prevedere un compenso minimo, ragguagliato a quanto disposto dai contratti, ci ha già pensato la legge Fornero. Procedendo di seguito, si apre il capitolo dei nuovi ammortizzatori sociali made in democrats.  Si parla di “avvio della universalizzazione dell’indennità di disoccupazione”. Uno potrebbe chiedersi se c’entra l’Onu in questa “universalizzazione”. Ma è  solo puro sindacalese: significa che  tale indennità (perdura il coprifuoco sull’Aspi) deve essere corrisposta a tutte le tipologie di lavoro e non solo a quelle di lavoro dipendente. Non è un caso che si parli di ‘avvio’. A Bersani, i suoi spin doctors  avranno sicuramente spiegato che l’attribuzione di  questa indennità ad altre categorie ha un costo rilevante (un miliardo al mese per ogni milione di nuovi aventi diritto).

E il reddito grillino di cittadinanza?

Inoltre il leader del Pd si è guardato bene dall’inseguire Grillo lungo la deriva del reddito di cittadinanza, un prestazione che andrebbe riconosciuta non solo a chi ha perduto il lavoro, ma anche a chi è fuori dal mercato del lavoro  e si limita a cercare un’occupazione. E magari anche ai Neet, coloro che non studiano, non hanno un lavoro e neppure lo cercano. A meno che a questi soggetti non sia erogato soltanto il c.d. reddito minimo di inserimento di cui si parla nello stesso punto. Viene da chiedersi, però, se questa prestazione sarebbe corrisposta a fronte di un avvio al lavoro (nel qual caso andrebbe ad interferire con l’apprendistato) oppure se  fosse attribuita comunque a chi è inoccupato (nel qual caso finiremmo nella trappola del  reddito di cittadinanza travestito con i relativi costi appresso).

Conclusioni

Dulcis in fundo, laconica e generica, la “salvaguardia esodati”. Molto poco per chi, come Bersani, pretendeva, durante la campagna elettorale, un vero e proprio atto di fede da parte di Mario Monti.

 

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