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Una riflessione sulla primavera della Chiesa

Con la declaratio dell’11 febbraio 2013, Papa Benedetto XVI si è reso protagonista di uno dei gesti più inaspettati e importanti della storia recente della Chiesa. La rinuncia al ministero Petrino è contemplata nel diritto canonico, ma è un atto molto raro. I Papi che nella storia hanno abdicato sono stati otto, se escludiamo Ratzinger. La rinuncia più celebre fu quella di Pietro del Morrone, eletto Papa con il nome di Celestino V nel 1294, che Dante colloca nell’inferno insieme al suo successore Bonifacio VIII.

La decisione presa da Benedetto XVI è storica: un Papa reputato conservatore, molto attento alla formalità dei riti e delle regole della Chiesa, feroce oppositore del “relativismo e dei venti di dottrina” nonché dell’inarrestabile processo di secolarizzazione della nostra società, si rende protagonista di una scelta totalmente secolarizzata e mondana. Ma la rinuncia al ministero petrino ha comportato molto più che la dismissione delle vesti papali. Questo gesto ha implicato, infatti, l’ammissione della fallibilità della figura del Pontefice. La scelta di Benedetto XVI è un marchio sulla storia della Chiesa. Niente è per sempre, verrebbe da dire, anche il Papa rinuncia. 

Molti osservatori hanno parlato di una era nuova per la Chiesa, una sorta di Primavera della fede. L’elezione di Francesco come nuovo Papa segna, infatti, un momento di rottura con il passato recente della Chiesa. Di novità si parla sempre quando avviene l’elezione di un nuovo Pontefice, anche nel 2005 ci fu la “gara” per individuare ciò che era nuovo e ciò che non lo era. Ma, oggi, a Papa Francesco vanno riconosciuti diversi primati, concreti. Se escludiamo San Pietro, considerato primo Papa della Chiesa di Roma, che era nato in Palestina, come indicato nel Vangelo di Giovanni, Papa Francesco è il primo Sommo Pontefice non europeo della storia della Chiesa. Non solo, egli è anche il primo gesuita a ricoprire il ruolo di “vicario di Cristo” , il primo a chiamarsi Francesco e il primo, dopo molto tempo, a decidere di non abitare negli appartamenti papali (per il momento). 

Lo stile di comunicazione tra Benedetto XVI e Francesco è molto diverso. Mentre Benedetto XVI è un filosofo e teologo, un custode forte della fede attraverso l’osservanza dei dogmi, dei riti e delle liturgie, Francesco è un parroco, fa della semplicità un punto di forza, anche nella comunicazione. Questo Papa sceglie di abbandonare il fasto della cerimonia e della forma, rinuncia alla Croce d’oro, agli abiti fastosi, alle svariate comodità. Si è calato nel ruolo del “servo dei servi di Dio”. Non a caso il suo nome si ispira a quello del Santo di Assisi, il ricco che si straccia le vesti e che decide di vivere in povertà, con gli ultimi. I poveri, come ha detto lo stesso Francesco, sono al centro del suo pensiero e ha fatto appello ai “potenti” affinché non si dimentichino di coloro che soffrono e vivono in una condizione di indigenza. Lo fa parlando anche della necessità di rispettare ciò che è stato “creato”. Ciò che mi sembra rilevante è che Francesco dà un primato alla parola o meglio al dialogo. In occasione del primo angelus ha evidenziato l’importanza dell’incontro: “è importante per noi cristiani incontrarci di domenica, salutarci, parlarci come ora qui, nella piazza”. Il dialogo diventa il mezzo per una nuova evangelizzazione. Sì, l’evangelizzazione è la missione di questo Pontificato: recuperare quanto è andato perso nel tempo, il valore della misericordia e della parola, nella preghiera e nel dialogo. Sarebbe ingeneroso, tuttavia, non riconoscere quanto fatto da Benedetto XVI, seppur con un metodo differente, per “rispolverare” i valori citati anche da Francesco in più occasioni. 

Il gesto di Benedetto XVI ha aperto un’epoca nuova per la Chiesa. Un Pontefice della tradizione, anche molto  dogmatica, apre alla contemporaneità umanizzando la figura del Papa. Raztinger è un uomo divenuto Papa e si riconosce dei limiti. Con un gesto di umiltà si fa da parte e permette che avvenga un cambiamento. Il successore ha raccolto questa testimonianza e l’ha concretizzata in “gesti, opere e parole”. E che dire poi dell”incontro avvenuto tra i due Pontefici. Un evento simile si era verificato solo con Celestino V e Bonifacio VIII, ma l’incontro fu tutt’altro che amichevole. Per la prima volta nella storia, due Pontefici sono assieme, seduti uno fianco all’altro in preghiera. Il predecessore e il suo successore. Se questo possa o no avere effetti sull’autonomia di Francesco o sulla sua autorità è da valutare. Occorre però ricordare, dato che in queste settimane non si parla di altro, che la fine del “medioevo” della Chiesa, come detto da alcuni osservatori, si deve prima di tutto alla decisione di Ratzinger. Se questo processo di umanizzazione della figura del Pontefice sarà o meno salutare per la vita della Chiesa come istituzione, lo si vedrà strada facendo. Per il momento auguriamoci che questa primavera sia rigogliosa e che possa portare i suoi frutti. 
 

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