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Da Grillo ci salva solo una maggioranza a tre Bersani-Berlusconi-Monti

1. Non c’è dubbio. Preso in sé  il risultato della coalizione di Centro – un 10% circa che ha consentito di eleggere una ventina di senatori e poco meno di 50 deputati – è dignitoso, anche perché ha riguardato una formazione politica costituita 50 giorni prima del voto messa su all’improvviso, con una classe dirigente composta in larga misura da persone sconosciute, non solo al grande pubblico, ma persino tra di loro. Si dirà che quest’ultima circostanza è stata una delle componenti del trionfo di Beppe Grillo. Ma non è vero, perché tra i rappresentanti della società civile del guru genovese e quelli delle liste di Scelta civica alla Camera c’erano delle differenze sostanziali: mentre i primi hanno evitato di esporsi sugli schermi televisivi, sapendo che non avrebbero retto il confronto con i personaggi che popolano i talk show, i secondi non hanno esitato a mettersi in mostra, rivelandosi spesso, nonostante i loro master e i doppi cognomi, dei polli allevati in batteria. Va dato merito al Professore di essersi sottoposto ad un tour de force mediatico e ai riti di una difficile campagna elettorale. Gli alleati dell’Udc e di Fli  sono stati tenuti a  distanza per evitare che contaminassero, con il loro bagaglio partitocratico, la purezza del civismo. Resta da capire – gli studiosi dei flussi ne verranno a capo – se Casini e Fini sono stati compagni di strada inconsistenti tanto da incidere negativamente sul valore aggiunto da apportare alla coalizione, oppure se hanno svolto la funzione dei donatori di sangue, fino al punto dell’estremo sacrificio politico. Tutto ciò premesso la coalizione di Mario Monti, pur potendo contare su gruppi parlamentari di una certa consistenza (quello della Camera farà a gara per ‘nuovismo’ ed inesperienza con i “grillini”), non ha raggiunto l’obiettivo che si era posto: essere determinante nella formazione di una maggioranza ed un governo. Perché tale risultato sia possibile vanno aggiustati i numeri o rivolgendosi al Pdl o a Grillo. E soprattutto, tanto se al Pd riuscisse l’operazione di aggancio del M5S, quanto se accettasse di inghiottire il rospo di una qualche intesa con l’odiato Cavaliere, l’appoggio di Scelta civica avrebbe un’utilità assai marginale, quasi come una spruzzata di borotalco dopo il bagno; che è piacevole ma se ne può fare a meno. Certo Monti ha credito nei circoli europei ed internazionali e sui mercati.  Ma vien fatto di porsi una domanda: che figura farebbe il professore in Europa se accettasse di dare credito ad un movimento populista, con venature fascitoidi, come il M5S che sicuramente – checché ne dica Giorgio Napolitano – è portatore sano di un virus che potrebbe contaminare tutto il Vecchio Continente?

Il commento ai risultati di Scelta civica in cui ho creduto

2. Prima di addentrarci in qualche valutazione sulle prospettive di questo povero Paese, è venuto il momento di commentare – sia pure con la simpatia di un militante che non è ostile ad assumersi la sua parte di responsabilità avendo partecipato alla stesura del programma ed essendo stato candidato non eletto – la campagna elettorale di Scelta civica e del suo leader. A mio avviso (al di là di quelli commessi nella formazione delle liste, un’operazione dettata forse dalla fretta ma per interpretare la quale risulta difficile individuare dei criteri logici tranne che il ricorso a quelle cordate che si vorrebbero appartenere unicamente alla “vecchia” politica) sono stati commessi degli errori nel presentare la piattaforma del movimento, che hanno influito – probabilmente in quantità inferiore ad altri elementi di contesto – sull’esito del voto in modo non positivo. I contenuti delle diverse agende programmatiche erano senz’altro qualificati e come tali sono stati riconosciuti dagli osservatori. Ma in chi scrive resta la convinzione che, durante la campagna elettorale, anche Scelta civica si sia posta, ad un certo punto, il problema di blandire gli elettori raccontando loro ciò che volevano sentirsi dire ed accantonando le questioni impopolari. Prendiamo il caso dell’Imu. Quando ha annunciato la sua “salita in politica” il Professore dichiarò con fermezza che, a togliere l’Imu, si sarebbe stati costretti a rimetterla dopo un anno in quantità molto superiore. Se questa è la realtà in cui si crede, che senso ha avuto impegnarsi ad alleggerire questa imposta senza dare indicazioni precise per quanto riguarda la copertura, come per altro è avvenuto anche nelle altre proposte di carattere fiscale? In generale, l’agenda della campagna elettorale l’ha compilata Berlusconi; Monti ha avvertito l’assillo di dare delle risposte, magari più serie e meno demagogiche, sui temi posti dal Cavaliere. Poi, non ho ben chiaro se il seguente aspetto sia stato notato dall’opinione pubblica. Va riconosciuto però che, se Monti e il suo governo sono stati apprezzati dalla comunità internazionale, il merito è dovuto in grande misura – a torto o a ragione – a due riforme: quella delle pensioni e quella del mercato del lavoro. Elsa Fornero, però, è sembrata essere una persona scomoda, da tenere in disparte per non evocare in campagna elettorale la durezza delle leggi che portano il suo nome. Meglio sarebbe stato non dare l’impressione di essersi pentiti e di cercare di mettere riparo alle critiche che a Monti e al suo governo venivano tanto da destra quanto – sotto sotto – da sinistra. Meglio sarebbe stato annunciare che il movimento si guardava bene dal cambiare linea, perché la situazione resta grave e basta uno scivolone per perdere in un giorno gli effetti dei sacrifici di un anno. Quante Imu hanno pagato indirettamente gli italiani in conseguenza della tempesta dei mercati finanziaria quando, appena dopo il voto, gli operatori si sono accorti che il quadro politico uscito dalle urne era e rimane a rischio quasi certo di instabilità? Eppure, sarebbe bastato spulciare il Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia (Bollettino n. 4 del novembre 2012), per imbattersi  in alcuni dati che a noi sembrano interessanti e che non sono circolati perché non in linea con lo stereotipo di un Paese messo ormai a pane ed acqua. Partiamo da  una domanda: è proprio vero che il risanamento finanziario – solitamente presentato come il vizio assurdo di qualche liberista misantropo e crudele  – non è utile alla vita quotidiana delle persone in carne ed ossa? Per noi non è così. Cominciamo dai mutui immobiliari, “croce e delizia” di ogni intervista televisiva all’”uomo della strada”. Nell’agosto 2012 il loro ammontare complessivo era pari a 280 miliardi (per 2/3 a tasso variabile) pari al 18%  del credito bancario nel suo insieme (contro il 40% della Francia, il 35% della Germania e della Spagna, il 33% della media dell’Eurozona). La ricchezza finanziaria delle famiglie è pari a 3.600 miliardi di euro (un multiplo del Pil). La maggior parte delle attività finanziarie è costituita da strumenti a basso rischio (50% riserve assicurative e previdenziali, 20% obbligazioni pubbliche o bancarie, la quota restante in azioni o partecipazioni a fondi comuni). I debiti finanziari delle famiglie, in rapporto al reddito disponibile, sono rimasti praticamente invariati (65%). La quota di famiglie vulnerabili (quelle per cui gli interessi sui debiti sono superiori al 30% del reddito disponibile) è in misura del 2,2% del totale (con un indice di stabilità nel 2012 rispetto al 2011).  Considerando il solo reddito monetario la quota di famiglie vulnerabili è pari al 3,6%, mentre solo lo 0,6% dei nuclei familiari versa in condizioni di sovraesposizione debitoria  (quando non riescono più a fare fronte ai loro impegni e presentano un perdurante squilibrio fra debito e patrimonio liquidabile).

Monti e le banche

Un altro luogo comune riguarda l’atteggiamento favorevole che il governo avrebbe riservato alle banche. Eppure il nostro sistema bancario (dato del giugno 2012) è esposto verso le amministrazioni pubbliche per 351 miliardi (110 miliardi in più rispetto al settembre 2011) a fronte di un’esposizione complessiva del sistema bancario dell’area dell’euro di 425 miliardi. Ciò significa che le famigerate banche in questi ultimi mesi si sono accollate il rischio di buona parte del nostro debito pubblico. Infatti, tra la metà del 2011 e la metà del 2012 la quota di titoli detenuti all’estero è scesa dal 52% al 41% della quota complessiva. Nel secondo semestre – non a caso – la situazione è migliorata. Ciò è un buon segnale se solo si ricorda che, nel 2013, verranno a scadenza titoli per ben 100 miliardi (di cui 41 miliardi di Bot e Ctz) ora detenuti da  investitori non residenti, in misura pari al 41% dei rimborsi complessivi previsti nel 2013. Ecco perché la fiducia di cui ha goduto il Paese (che si misura anche con il livello dello spread, prima del voto fortunatamente in calo) è importante, anche nell’interesse delle famiglie e delle imprese.

Il grillismo secondo Gramsci

3. Che fare adesso? Per commentare il successo di Grillo ci permettiamo di andare a scuola da un grande pensatore e leader politico del secolo scorso. “Si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo ad una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. E’ divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano”. A  nostro avviso, basterebbero queste semplici frasi per spiegare il fenomeno  M5S  ai nostri partner europei  che perdevano il loro tempo a preoccuparsi del ritorno di Silvio Berlusconi. Il brano è tratto, invece, da uno scritto a proposito del nascente fascismo a firma di Antonio Gramsci, pubblicato sull’Ordine nuovo del 26 aprile 1921.

Il fascismo in forme diverse

La storia si sta ripetendo? Noi crediamo di sì, sia pure in forme diverse. Con il web, non con il manganello e l’olio di ricino, almeno per ora. Ma la pozione malefica delle subculture fascistoidi  sta avvelenando i pozzi del vivere civile. E non si tratta di un fuoco di paglia. Ancora una volta dobbiamo fare ricorso al “vincolo esterno” che ci ha sempre indotto a comportamenti virtuosi.

L’esempio greco

Come venne fatto capire ai greci che mandando al governo l’estrema sinistra si sarebbero trovati a battere i denti dal freddo e dalla fame fuori dalla Unione, così deve essere spiegato chiaramente agli italiani: in Europa non c’è posto per un Paese che si consegna al populismo. Nel 2000 la Comunità europea arrivò a promuovere delle sanzioni contro l’Austria come reazione nei confronti di un governo  costituito dai democristiani di Wolfgang Schuessel e dai liberali di Joerg Haider. Quest’ultimo rappresentava in quei tempi, per le sue posizioni politiche, la pietra dello scandalo, anche se – a leggerlo oggi – il programma  concordato da quella maggioranza – che fu detta nero-blu – potrebbe sembrare persino innovativo ed anticipatore di scelte che adesso sono di ordinaria amministrazione in tutti quei Paesi che allora si scandalizzarono ed adottarono le sanzioni prescritte. Ben presto si ritenne che l’aver decretato l’apartheid nei confronti di uno Stato sovrano fosse stato un errore.

Italia inaffidabile perché a 5 stelle

Ma come può la comunità internazionale fidarsi di un Paese in cui il M5S  – un soggetto misterioso colpevolmente sottovalutato, populista ed antieuropeo – è diventato il primo partito alla Camera?  Come può un investitore straniero sottoscrivere i nostri titoli quando chi vince le elezioni  sostiene di non onorare il debito sovrano? Ci sorprende, invece, la reazione di tanti commentatori e, più in generale, delle forze politiche di centro sinistra. Sembra di essere ritornati ai tempi dei “compagni che sbagliano”. In sostanza, il grillismo è un fenomeno che viene giustificato per la sua critica alla classe politica, ai partiti e ai sindacati. Le sue rampogne, la sua insofferenza – si dice – sono giustificate e condivisibili. Il limite starebbe solo nell’accontentarsi della “protesta” e di non avere “proposte”.

Bersani verso il modello Crocetta

Quanto al Pd, è ormai palese il progetto di riproporre a livello nazionale il modello Crocetta: ottenere l’appoggio esterno del M5S ad un governo Bersani privo della maggioranza al Senato. E’ proprio vero che gli Dei confondono la mente di coloro di cui hanno segnato il destino. Basta osservare il dibattito politico di queste prime giornate dopo lo tsunami. Si direbbe quasi che qualcuno pensi di fermare gli orologi, come si faceva un tempo per eludere una scadenza vincolante o un termine insormontabile. Solo che quel piccolo trucco serviva a recuperare qualche ora o un giorno al massimo. Adesso il “fermo” degli orologi dovrebbe proseguire per qualche mese (forse anche per più un anno per votare insieme alle elezioni europee) prima di tornare inevitabilmente alle urne.

Il nodo della legge elettorale

E nel frattempo che cosa dovrebbe accadere? La risposta che viene data è la seguente: concordare una nuova legge elettorale. Ma nel frattempo come e con chi si affronterebbero non già i problemi non risolti denunciati in campagna elettorale, ma il precipitare dei nuovi guai  conseguenti all’infausto risultato delle urne ? Nessuno è in grado di chiedere al mondo di fermarsi per poter scendere. L’economia, i conti pubblici, i mercati, lo spread, la disoccupazione presenteranno quotidianamente il loro conto. Diranno loro di ripassare? Che i <nostri  eroi> sono impegnati a definire quale legge elettorale ci porterà di nuovo al voto il più rapidamente possibile?

L’unica soluzione è una maggioranza di solidarietà nazionale

Davanti a noi rimane soltanto una soluzione: una maggioranza di solidarietà nazionale (non necessariamente un ‘governissimo’) incentrata sulla terna Pd, PdL e Scelta civica, che si impegni non ad esprimere un governo a termine, ma a portare il Paese fuori dalla crisi. Ci sono i voti, ci sono le idee. Al Senato questi tre gruppi, escludendo i senatori eletti all’estero, esprimono 221 seggi ovvero una maggioranza larghissima. E non si dimentichi mai che, se Grillo ha ottenuto una ottima prestazione, la grande maggioranza dei cittadini italiani ha votato ancora una volta per l’insieme dei partiti tradizionali.

Aria da resa a Hitler

C’è in circolazione un’aria di svendita, di rinuncia che ricorda la resa delle democrazie europee ad Hitler a Monaco nel 1938. A partire dall’analisi. In tanti sembrano dare per scontato che le istanze di Grillo siano giuste e condivisibili e che si tratti soltanto di farle proprie dando loro una forma istituzionale. E’ la stessa logica con cui dopo la Marcia su Roma del 1922 le classi dirigenti cercarono di <istituzionalizzare> il Fascismo.

La successione a Napolitano

Per fortuna adesso al Quirinale c’è ancora Giorgio Napolitano e non Vittorio Emanuele III o un suo emulo. Ma li avete sentiti i nomi che circolano per la successione a Napolitano, allo scopo di compiacere Grillo? Tra essi vi sono alcuni tra i peggiori personaggi del giustizialismo nostrano. Ma ogni cosa a suo tempo. Prima di ogni altro impegno esiste il dovere di difendere le istituzioni democratiche. Perché di questo si tratta. Se non risulterà possibile formare un esecutivo dotato di una maggioranza stabile, non andrà neppure scartata l’ipotesi di rimandare il governo Monti  davanti alle Camere in attesa di tornare a votare al più presto. Dio aiuti questo povero Paese. Il peggio, forse, deve ancora venire. Ma quelle forze politiche che si arrenderanno al grillismo un giorno – magari lontano – risponderanno davanti al tribunale della storia delle sciagure, dell’isolamento e del declino a cui andrà incontro l’Italia.

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