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Caro Grillo, servono chiarimenti sul programma economico a 5 Stelle

Incominciano ad apparire le prime analisi approfondite sul Movimento Cinque Stelle,
sui suoi eletti, sui suoi bacini elettorali, sui voti sottratti ai partiti storici e cresce
anche l’attenzione per il suo programma, le sue linee generali, i contenuti specifici e
le sue finalità, nel mentre è fragorosamente esploso il dibattito all’interno del gruppo
senatoriale per il voto dato da alcuni suoi componenti a Pietro Grasso per l’elezione a
Presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama.

La ricerca di un’intesa del Pd con il M5S

Per ogni ipotesi governativa è comprensibile – anche se, ad avviso di chi scrive, non
del tutto condivisibile – che il Pd pensi a confronti di merito in Parlamento su singoli
provvedimenti soprattutto con il Movimento – che comunque è chiamato a votare
la fiducia al Senato – anche se non si dovrebbe in alcun modo ignorare la presenza
del Pdl e delle forze ad esso alleate che costituiscono il terzo grande polo del Paese,
rafforzato peraltro dalla vittoria alle Regionali in Lombardia.

Gli esempi nella Prima Repubblica

Nel Parlamento italiano, come è stato ricordato, nel 1976, dopo le elezioni politiche
che avevano visto Dc e Pci rispettivamente al 38 e al 34%, si varò l’esperienza dei
monocolori democristiani guidati da Andreotti con l’astensione prima di Pci e Psi, poi
con gli ‘accordi programmatici’ e, dopo il rapimento di Aldo Moro, con l’ingresso
del Pci in maggioranza, ma non nel Governo. Erano gli anni dell’austerità, ma i
provvedimenti allora assunti anche con il consenso dei Sindacati – come la legge 675
sulla riconversione industriale e la 285 sull’occupazione giovanile – riportarono fra
l’altro l’inflazione dal 20 al 13% e salvarono il Paese.

I vincoli esterni

Ma oggi con i vincoli economici esterni più stringenti, quale può essere l’apporto
specifico e di merito del Movimento Cinque Stelle, ad esempio in materia di
politica economica? Il referendum sulla permanenza nell’eurozona? Abbiamo
ascoltato in campagna elettorale, al di là dell’oratoria civilmente furente di Beppe
Grillo, solo idee generali, piuttosto che programmi specifici e ben articolati, e men
che meno bozze di prime proposte di legge; e non è un caso che il Movimento
(prudentemente) dica di voler valutare proposte altrui e verificarne la coerenza con i
propri orientamenti.

M5S come grande difensore civico

Ora, sembra del tutto evidente che il Movimento e i suoi parlamentari vogliano
in primo luogo assumere il ruolo di una sorta di grande “difensore civico” degli
Italiani che avrebbero conferito loro un mandato in tal senso: ed è bene che tale ruolo
assolvano con diligenza e costanza, insieme, sia detto per chiarezza, con gli eletti di
tutti gli altri partiti.

Le posizioni del M5S

Ma basta tutto questo, che pure è significativo ed apprezzabile, per riavvicinare i cittadini alle Istituzioni e soprattutto per il governo di un grande Paese industriale, secondo in Europa alle spalle della Germania per la forza della sua manifattura? Basta rilevare che muoiono mille imprese al giorno per fare politica economica? E in materia di fiscal compact, con i vincoli che ne derivano, che dice il M5S? E sui provvedimenti assunti per la lotta all’evasione fiscale, sul redditometro
– giusto o sbagliato che sia – e sulla riforma delle pensioni della Fornero, cosa dicono gli eletti del M5S? E su politica industriale, costo del lavoro, riduzione del cuneo fiscale, abbattimento dell’Irap, detassazione di utili reinvestiti in azienda, quali sono le posizioni di Grillo e dei suoi parlamentari? E sui rapporti industria-ambiente essi cosa propongono? A Taranto hanno detto che deve essere la cittadinanza ad esprimersi sulla permanenza dell’Ilva, ma sulla legge 231 che ha consentito la prosecuzione dell’attività degli impianti a caldo del Siderurgico quale posizione assumono nel Movimento?

Chiarezza per un Paese industriale come l’Italia

Nessuno scetticismo preventivo allora nei suoi confronti, ma esigenza di assoluta chiarezza per un grande Paese industriale come l’Italia. Perché è bene essere molto fermi su questo punto: senza industria l’Italia non si salva, senza piccole, medie e grandi imprese questo Paese rischia la marginalizzazione mondiale, e se qualcuno coltivasse l’illusione che si possa competere nel mondo solo con turismo e agricoltura – pure da valorizzare – è bene che gli si dica che è sulla strada sbagliata e che l’industria italiana non si tocca. La si modernizza, la si innova tecnologicamente, la si ristruttura, ma l’industria nazionale deve essere difesa anche, e direi soprattutto, perché in essa operano mondo del lavoro salariato e imprenditoria che sono i due motori trainanti del mondo sociale del nostro Paese.

Federico Pirro

Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia

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