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Ecco il vero stato dei conti pubblici italiani

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore, l’analisi di Guido Salerno Aletta uscita sul settimanale MF/Milano Finanza

Per l’Italia, per i prossimi cinque anni, niente crescita. Secondo le ultime stime del Fmi, ancora nel 2017 il Pil italiano in termini reali sarà ancora più basso di quello del 2007: 1.449 miliardi di euro rispetto ai 1.492 miliardi di dieci anni prima. Varrà quindi 43,1 miliardi di euro in meno, pari al -2,9%. Ma, quel che è peggio, si stima che il nostro debito pubblico arriverà a 2.069 miliardi di euro, rispetto ai 1.602 miliardi di dieci anni prima: 467 miliardi in più, passando dal 103,1% del Pil del 2007 al 118,9% del 2017.

Le stime del Fmi più ottimiste di quelle del governo

Sempre per quanto attiene al rapporto debito pubblico/Pil, il Fmi è più ottimista del nostro governo: valuta che quest’anno sarà pari al 123,8% del Pil, mentre nel 2017 dovrebbe scendere al 118,9%, riducendosi di 4,9 punti percentuali rispetto a quest’anno, ma rimanendo comunque superiore di 15,8 punti percentuali rispetto al 2007, quando si era assestato al 103,1% del Pil. Le previsioni del Fmi sono diverse per questo aspetto rispetto a quelle contenute nel recentissimo Def 2013, secondo cui quest’anno il debito pubblico sarà invece pari al 130,4% del Pil, se calcolato al lordo degli aiuti internazionali, ed al 126,9% conteggiandolo al netto. Nel Def, inoltre, si prevede che nel 2017 i due rapporti scendano rispettivamente al 117,3% ed al 113,8% del Pil. Secondo il governo ci sarebbe una riduzione del rapporto debito pubblico/Pil di ben 13,1 punti percentuali in quattro anni, ad un ritmo di 2,7 volte più veloce rispetto a quello stimato dal Fondo. Partiamo da una base di debito più alta ma la ridurremo molto più velocemente.

L’aumento della spesa per interessi

In ogni caso, il debito pubblico era e rimarrà per l’Italia la vera palla al piede, visto che si tornerà ai tassi correnti prima della adozione dell’euro. Basta vedere l’andamento della spesa per interessi: nel 2001 fu pari a 78,9 miliardi di euro, a fronte di un debito pubblico pari al 108,2% del Pil, con un onere pari al 6,3% del prodotto ed un tasso medio del 5,8%. Nel 2007 l’onere fu invece di 76,8 miliardi di euro, pari al 4,9% del Pil, a fronte di un debito pubblico sceso al 103,1% e ad un tasso medio del 4,8%. Sulla base del Def 2013, la spesa per gli interessi è passata dai 71,1 miliardi del 2010 agli 83,9 miliardi di quest’anno, ed arriverà a ben 109,3 miliardi nel 2017. L’importo per interessi sarà pari al 6,1% del Pil, pur a fronte di uno stock di debito pari a 2095 miliardi ed un rapporto debito/Pil ridotto al 117,3% del pil, e con un rendimento medio del 5,2 %. Per fare un raffronto, la spesa per interessi passerà dal 63% della spesa sanitaria erogata nel 2010 al 91% della medesima prevista nel 2017. Ed ancora, passerà dal 137% del totale delle spese in conto capitale erogate nel 2010 al 255% previsto nel 2017. Assorbirà una quota crescente delle imposte dirette, passando dal 31% al 41%.

L’indebitamento netto nei prossimi anni

Da un anno a questa parte, è tangibile il capovolgimento delle previsioni del Governo Monti: l’anno scorso, nel Def 2012, si prevedeva che il debito pubblico di quest’anno sarebbe stato pari al 117,9% del Pil, ed invece quest’anno la stima è del 126,9%: 9 punti percentuali in più. Il crollo del Pil ha scombussolato le carte. Ma c’è dell’altro: nonostante l’indebitamento strutturale del 2013 sia pari a zero, in assoluta coerenza con quanto stabilito nel nuovo articolo 81 della Costituzione, l’indebitamento netto di quest’anno sarà pari al 2,9% del Pil per via delle vicende legate al ciclo economico e le misure una tantum relativa al pagamenti di 20 miliardi di debiti commerciali arretrati alle imprese. E continuerà ad essere negativo negli anni a venire: ancora nel 2017 si prevede un fabbisogno netto dell’1,8% del Pil. Le perturbazioni economiche, quindi, proseguiranno ancora a lungo.

Il fallimento economico del governo Monti

La scelta del governo Monti di affrontare il risanamento sul versante del pareggio del bilancio anziché intervenire subito e con misure straordinarie sullo stock del debito pubblico si è dimostrata fallimentare: l’economia si è bloccata, la disoccupazione è aumentata e lo stesso debito pubblico è arrivato a livelli mai sperimentati prima in tempo di pace. Viene il dubbio che l’obiettivo perseguito non sia stato quello che avevamo auspicato: spostare risorse dalla rendita finanziaria allo sviluppo. Si garantisce invece a chi detiene il debito pubblico una quota continuamente maggiore del reddito nazionale, prelevata dalla produzione e dal lavoro. Sempre che il sistema regga.

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