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Il Corriere della Sera e i populismi di carta

Giusto e doveroso rilevare i toni a volte virulenti e spesso populistici della narrazione grillina su anti politica e anti Casta.

Giusto e comprensibile criticare la dittatura del web sulle scelte del Movimento 5 Stelle che sviliscono il mandato parlamentare dei grillini.

Giusto e opportuno criticare la faciloneria con cui si trattano temi complessi.

In questo i maggiori quotidiani, compreso il Corriere della Sera, non hanno lesinato ammonimenti, consigli e critiche a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle e ai parlamentari grillini.

Ma il populismo facilone alligna anche in qualche editoriale di commentatori e intellettuali.

Si prenda ad esempio l’editoriale di oggi del Corriere della Sera firmato dai due economisti di punta del quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli.

Nulla di nuovo, possono sostenere coloro che seguono con attenzione i commenti di Francesco Giavazzi e Alberto Alesina. Forse. Però contengono un primo giudizio sulle relazioni dei dieci saggi nominati da Giorgio Napolitano. Le loro proposte? “Sono vaghe e soprattutto sono troppe”.

In effetti in un commento su un quotidiano si deve essere concisi e si può essere anche superficiali  – pardon, semplicistici.

Giavazzi e Alesina ribadiscono la loro tesi cardine: meno pressione fiscale e meno spesa pubblica uguale crescita. Bene, bravi, bis.

Quindi: non eliminare l’Imu, bensì ridurre le tasse su lavoro e imprese di un ammontare maggiore dell’Imu (che nel 2012 ha prodotto un gettito di circa 24 miliardi di euro), scrivono i due economisti. La copertura finanziaria di questo intervento? Eccola: 10-12 miliardi di euro si possono trovare tagliando i sussidi alle imprese, per il resto si può incidere nel calderone dei 30 miliardi di euro di agevolazioni fiscali mappate dal rapporto predisposto dal sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani.

Facile vero? Ecco la risposta implicita di Alesina e Giavazzi: “Può darsi che per effetto di queste misure il deficit temporaneamente superi la soglia del 3%. Poco male, se l’economia continuasse a contrarsi salirebbe anche di più. Dopo un intervento radicale su tasse e spese (non prima), con Bruxelles si potrà negoziare”.

Risposta realistica. Ma anche fattibile? Chissà.

Certo, questa scarsa considerazione del tetto del 3% stride con le rampogne che per anni si sono lette negli editoriali degli stessi economisti contro coloro che sostenevano un po’ di “lassismo” nei conti pubblici per sfidare Bruxelles o indurla alla realtà. E poi, forse, è bene negoziare prima con Bruxelles. O no?

Ma tanto che importa. In un prossimo editoriale si avrà sempre l’occasione di correggere il tiro. Vero Giavazzi e Alesina?

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