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Il Franco Marini segreto sulla riforma delle pensioni

Pochi ricordano che, da ministro del Lavoro dell’ultimo governo Andreotti, nell’ormai lontano 1991, anche Franco Marini si cimentò con il tormentone delle pensioni.

Era subentrato nell’asse ereditario di Donat Cattin dopo la sua morte: la corrente di Forze Nuove, con annesso ruolo nel ponte di comando della Balena Bianca e lo scranno ministeriale.

Da buon ex-sindacalista, Marini non aveva intenzione di cercare guai e di iniziare su di un terreno tanto insidioso il suo (promettente) esordio in politica. Inoltre, la fine della legislatura era ormai in vista e un politico accorto doveva pensare al dopo.

L’offensiva di Guido Carli sulle pensioni

Si mise di mezzo, però, un altro “patriarca”: niente meno che Guido Carli, guru della finanza pubblica, titolare del Tesoro, assai preoccupato di dover accreditare all’estero la Finanziaria di Paolo Cirino Pomicino, allora al dicastero del Bilancio (non era ancora stato istituito il superministero dell’Economia).

Anche allora le misure che venivano assunte in materia di pensioni “facevano aggio” sulla serietà delle intenzioni dei governi in tema di finanza pubblica. “O la riforma, magari per decreto o me ne vado”: tuonò il custode dei conti pubblici e di quel poco di credito che ci era rimasto sui mercati internazionali.

Il lavorìo del ministro Marini

Tutti si precipitarono a rabbonirlo, ma per convincerlo dovettero (era il mese d’aprile del 1991) incaricare Marini di presentare entro metà giugno un disegno di legge in Consiglio dei ministri. Il titolare del Lavoro tolse dall’archivio il progetto di Rino Formica (presentato in precedenza dal ministro socialista, suo predecessore al Lavoro), lo ridusse all’essenziale (oltre al superamento delle pensioni baby del pubblico impiego, l’unica misura rigorosa rimase l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per uomini e donne, mentre non vennero toccati i requisiti per il trattamento di anzianità) e credette di avercela fatta.

Il ruolo di Benvenuto e della Uil

All’improvviso, l’allora segretario della Uil, Giorgio Benvenuto, scatenò contro il suo ex collega una campagna polemica durissima, una guerra senza quartiere. Si pensava anche senza motivo, visti i contenuti moderati del progetto; quando ci si accorse che Benvenuto faceva da battistrada (inconsapevole?) a Bettino Craxi, il potente “signore”  del Psi, il quale – per ragioni rimaste misteriose – aveva deciso che quella riforma non doveva essere fatta, chiedendo di espungere l’unica norma seria relativa, appunto, all’innalzamento dell’età pensionabile.

La difesa di Andreotti

Andreotti difese Marini a (caute) parole, ma non ebbe un attimo di esitazione a sacrificare i propositi del suo ministro per i favori del suo più forte alleato. Così, ai primi d’agosto, il Consiglio dei ministri approvò, more solito, il progetto Marini “nelle sue linee generali”; come a dire col Poeta, “dalla cintola in su”.

Venne rimandata a settembre (non si uccidono così anche i cavalli?) la messa a punto degli articoli. Ovviamente, al suo veto Bettino non rinunciò mai, dando prova di un’irriducibile ostinazione, fino al punto di sconfessare lo stesso Claudio Martelli, capo delegazione socialista nel governo, quando tentò una qualche mediazione che sbloccasse l’impasse.

La popolarità di Marini grazie allo scontro con Craxi

Poco alla volta, le pensioni tornarono in apnea in attesa di tempi migliori. Il tema servì alla campagna elettorale di Franco Marini, al quale lo scontro con Craxi aveva dato grande popolarità nella base democristiana. Marini ebbe un gran successo a Roma e nel Lazio, puntando ad ereditare la dote elettorale di Giulio Andreotti nel suo stesso Collegio, dopo che l’uomo politico era stato nominato senatore a vita. Non sapeva ancora che quel patrimonio era ormai scritto sull’acqua.

Le nuove regole Dc che toccarono Marini

Nella nuova legislatura (che poi divenne l’ultima della Prima Repubblica) la Dc inventò la regola dell’incompatibilità tra incarichi di governo e mandati parlamentari. Franco Marini non ebbe dubbi a conservare il seggio alla Camera rinunciando al ministero. La vicenda delle pensioni made in Marini, peraltro, procurò, in seguito, qualche sorpresa ad altri protagonisti.

Gli avversari craxiani di Marini

Bettino Craxi aveva incaricato due dirigenti socialisti di coordinare la guerra contro il progetto Marini: uno era Francesco Forte al quale era demandato il lavoraccio più sgradevole dell’attacco frontale; l’altro era Giuliano Amato. Quest’ultimo, in evidente imbarazzo,  tentò di imbastire spiegazioni più raffinate, approcci culturali a volo radente, riciclando tanti luoghi comuni del dibattito previdenziale, tutti incentrati sulla necessità di rendere “volontario” (e non obbligatorio) l’innalzamento dell’età pensionabile in nome del requisito della flessibilità.

Il contrappasso previdenziale di Giuliano Amato

Quanto successe a pochi mesi di distanza – divenuto premier di un esecutivo di emergenza il dottor Sottile diede brutalmente avvio al ventennio delle riforme previdenziali –  è la prova che Dio esiste, che applica con severità la legge del contrappasso.

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