Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Sanità e anziani, che fare? Consigli non richiesti al ministro Lorenzin

Il miglioramento della qualità della vita, i progressi della medicina, il diffondersi di stili di vita sani, la diffusione delle possibilità di cura hanno portato ad una aspettativa di vita sempre più lunga: ad oggi più di un quinto della popolazione italiana ha più di 65 anni, e la speranza di vita è tra le più alte d’Europa (quasi 79 anni per gli uomini e più di 84 per le donne).

Le controindicazioni della demografia

Questo dato indubbiamente positivo, porta con sé però una serie di conseguenze anzitutto sul piano sanitario. Secondo i dati Istat, infatti, nel 2012 le persone ultrasettantacinquenni affette da almeno due patologie croniche rappresentano il 69,4% sul totale della popolazione con le stesse caratteristiche di età (le donne sono il 75,1%). I maschi over 75 affetti da diabete sono passati al 19,5% sul totale della coorte, mentre l’ipertensione colpisce più della metà della popolazione anziana. Le previsioni sugli anni futuri ci dicono di un significativo aumento tanto della presenza di persone anziane e di grandi anziani (nel 2050 gli over 65enni saranno il 33% della popolazione, mentre gli over 80enni rappresenteranno il 13%, dati Istat), quanto dell’incremento della disabilità per effetto dell’invecchiamento e delle patologie cronico degenerative (il Censis stima che nel 2040 la disabilità colpirà il 10,7% della popolazione italiana).

Chi cura oggi gli anziani?

Le ricerche anche in campo internazionale – soprattutto europeo – hanno messo in luce come la cura delle persone anziane sia in molti casi affidata a carers informali (per lo più parenti più giovani di sesso femminile, figlie o nuore): questa constatazione dovrebbe allora indurre i policymakers a riflettere sull’assunzione di misure di supporto alla cura intergenerazionale che evitino di replicare o ampliare squilibri di genere o di classe. È il caso, ad esempio, delle misure di erogazione monetaria anziché di attivazione di servizi. Le famiglie possono scegliere come utilizzare questa erogazione: o nell’acquisto di prestazioni professionali, o nell’incremento del budget familiare a fronte della diretta presa in carico della persona non autosufficiente. È quest’ultima una strategia diffusa nella working class, nella quale un soggetto, solitamente la donna, lascia il lavoro per diventare caregiver informale a tempo pieno, con evidenti rischi per queste persone in termini di partecipazione al mercato del lavoro e di prospettive future rispetto al loro stesso invecchiamento. Per non parlare, inoltre, del carico di stress psicologico che il caregiving porta con sé, dell’isolamento sociale, della mancanza di tempo per sé e per le relazioni significative oltre a quelle di cura; tutti problemi che possono provocare conflitti intrafamiliari, quando non episodi di maltrattamento o abuso.

Modelli e soluzioni dall’Europa

La letteratura identifica per tipologie i servizi offerti agli anziani bisognosi di un supporto. Abbiamo i servizi domiciliari, che rispondono non soltanto a logiche di economicità, ma sottendono il riconoscimento della casa come luogo privilegiato della cura perché luogo simbolico degli affetti, delle relazioni calde e intime. Da questo punto di vista le esperienze nazionali e internazionali testimoniano servizi che vanno da un minimo di supporto (l’aiuto nei lavori domestici, la compagnia) a un massimo (l’ospedale a domicilio), passando attraverso assistenze domiciliari di varia intensità. Vi sono poi i servizi definiti di day care, che offrono un’ospitalità diurna e integrano molto spesso attività di tipo riabilitativo ad attività di animazione e socializzazione. I servizi di respite, invece, sono luoghi di ricovero temporaneo in fase di acuzie o per consentire ai caregivers informali un alleggerimento momentaneo del carico di cura. Con quest’ultimo obiettivo (sostenere i caregivers) sono nati anche in Italia, sull’esempio dell’Olanda, gli Alzheimer Cafè, luoghi di ritrovo per malati di Alzheimer e per i loro familiari che possono trovare sostegno e condivisione, anche grazie all’attivazione di gruppi di auto-mutuo aiuto. Vi sono poi i servizi residenziali che prevedono un elevato livello di cura, la presa in carico di fatto dell’intera vita dell’anziano da parte di professionisti all’interno di una struttura che diventa la casa della persona, probabilmente fino alla sua morte. In Europa ci sono tassi diversi di ricorso alla residenzialità: se in Svezia più di 7 anziani su 100 ricorrono a questo tipo di servizio, in Italia sono solo 2 su 100. Per quali motivi? Per i costi a carico delle famiglie? Per una cultura che favorisce la domiciliarità? Per la carenza di posti-letto in strutture?

Nuove modalità assistenziali

Accanto a quelli descritti, che sono i “tradizionali” strumenti di presa in carico dell’anziano, le ricerche hanno consentito di mettere in luce tutta una serie di servizi innovativi che presentano alcune caratteristiche peculiari. Anzitutto l’essere molto spesso promossi ed erogati da organizzazioni di Terzo settore, in partnership con il pubblico; poi l’avere una dimensione comunitaria, ossia il coinvolgere più attori delle reti sociali più vicine ai soggetti; il farsi carico non solo dell’anziano, ma anche degli attori (i caregivers, soprattutto) che stanno intorno alla persona; l’attenzione alla dimensione persona nella sua interezza: i servizi innovativi non curano la malattia, ma si fanno carico della persona che magari ha difficoltà a muoversi, soffre di una patologia degenerativa, ma ha interessi, curiosità, una storia, prova emozioni e sperimenta desideri. In questo senso si muovono le molteplici sperimentazioni che riguardano l’abitare (i condomini solidali, l’affido degli anziani), il tempo libero (la valorizzazione della memoria, la relazione fra generazioni), i servizi di prossimità (ad esempio, il servizio di custodia sociale), i gruppi di auto mutuo aiuto per i caregivers, l’amministrazione di sostegno gestita non soltanto in ottica burocratica, ecc.

Nicoletta Pavesi
sociologa e ricercatrice dell’Università cattolica Sacro Cuore di Milano

×

Iscriviti alla newsletter