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Che cosa penso dei piani del ministro Giovannini

Ebbene sì, l’esordio del neo ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini, ci ha convinti.

Avevamo ascoltato con qualche preoccupazione le comunicazioni del presidente del Consiglio in tema di lavoro e di welfare, nel senso che esse comprendevano una sintesi di tutte le promesse che i partiti della coalizione redenta (in particolare il Pd, ma anche il Pdl non si era fatto mancare nulla) avevano presentato  durante la campagna elettorale.

Così, il programma “sociale” del governo somigliava di più ad un cahier de doléances relativo alle riforme del lavoro e delle pensioni, piuttosto che a un’agenda serie e realistica. A conferma, è sufficiente compilare una lista degli impegni principali e più onerosi: intervento a sostegno dei redditi più bassi; rifinanziamento della cig in deroga; soluzione definitiva del problema degli esodati (Dio li abbia in gloria!); incentivi per l’occupazione giovanile; potenziamento dell’apprendistato; estensione al lavoro precario degli ammortizzatori sociali.

Soprattutto per quanto riguarda le pensioni, oltre alla questione esodati, sembravano essere in cantiere alcune misure di carattere strutturale, a revisione della riforma Fornero, che avrebbero comportato, con il pretesto del pensionamento flessibile, la modifica di uno dei capisaldi del nuovo sistema: il superamento, seppur in modo drastico, della piaga dei trattamenti di anzianità.

Peraltro, il clima delle aule del Parlamento è intriso di demagogia. E non c’è niente che rechi più danno alla politica della concorrenza sleale. Nella Commissione Lavoro della Camera Pd e Sel hanno la maggioranza assoluta dei componenti.

Il presidente Cesare Damiano è stato uno dei parlamentari più autorevoli e più critici della passata legislatura nei confronti dei provvedimenti del ministro Elsa Fornero. E sicuramente non lo richiamerà al rigore Renata Polverini, vice presidente della Commissione, in quota Pdl.

Al Senato, il presidente Maurizio Sacconi non sarà sicuramente da meno, sia pure per motivi diversi da quelli del suo collega di Montecitorio.

Nei giorni scorsi Enrico Giovannini ha presentato le linee del suo programma prima al Senato e poi alla Camera. Ha dovuto farlo all’interno del perimetro tracciato dal premier nelle comunicazioni sulla fiducia, ma non ha esitato a chiarire che, pur con tutta la buona volontà, i margini sono stretti e il Governo “ha da sparare un solo colpo” e non può sbagliare bersaglio.

E’ il rifinanziamento della cig in deroga la priorità del Governo sia pure con tutte le cautele del caso. Per il resto, Giovannini ha affrontato tutti i punti attinenti al dibattito politico facendo più leva sul pessimismo dell’intelligenza che sull’ottimismo della volontà.

Il ministro ha lasciato intendere che il suo Dicastero sta lavorando alla c.d. staffetta anziano/giovane in cui dovrebbe concretizzarsi il pensionamento graduale. Le modalità dovrebbero essere più convenienti di quelle inutilmente sperimentate nel passato, in quanto, grazie alla copertura da parte dello Stato della contribuzione non versata dall’anziano a part time, lo stesso non dovrebbe avere ripercussioni negative sulla propria pensione (come sarebbe avvenuto sulla base delle regole vigenti).

Giovannini, però, non ha esitato a sottolineare che si tratterebbe comunque di un intervento costoso e probabilmente di scarso successo, perché – aggiungiamo noi – per adattarsi alla staffetta, un lavoratore anziano avrebbe bisogno di una motivazione particolarmente forte, come quella di favorire l’ingresso al lavoro di un figlio (cosa certamente non commendevole).

Per quanto riguarda il pensionamento flessibile, il ministro a ribadito l’interesse dell’esecutivo, ma ha avuto l’onestà di ricordare che la riforma delle pensioni della fine del 2011 è stata la più importante misura strutturale del Governo Monti: quella, soprattutto (Letta se ne è reso conto nel suo giro nelle Cancellerie europee), che ha consentito il  recupero di credibilità dell’Italia sui mercati europei ed internazionali e presso i nostri partner.

Non si torna facilmente indietro, soprattutto quando è in campo una proposta del Pd, a prima firma Damiano, che ripristina, nei fatti, il flagello dei trattamenti di anzianità, ripartendo da quota 97 (62 anni di età + 35 di versamenti) come soglia minima.

Infine la legge sul lavoro. Damiano vuole spostare più avanti l’entrata in vigore dell’Aspi allo scopo di utilizzare più a lungo del previsto il vecchio modello di ammortizzatori sociali; Sacconi vuole demolire il più possibile le norme che regolano i rapporti di lavoro flessibili.

Giovannini, dal canto suo, ha portato dei dati dell’Isfol da cui risulta che la legge n. 92/1992  comincia a funzionare, che si riscontra, infatti, una diminuzione delle collaborazioni a progetto, mentre aumentano i contratti a termine, in quanto le aziende si stanno orientando sull’utilizzo di questo istituto per potersi avvalere della soppressione del c.d. causalone nel primo contratto e per la durata massima di 12 mesi. Ne deriva, secondo noi, una considerazione molto semplice. Nella revisione delle norme sui contratti a tempo determinato si possono fare operazioni ben più serie che non la sola riduzione dei periodi intermedi (a cui ha già provveduto la contrattazione collettiva).

Se si vuole attuare una misura incisiva si elimini il “causalone” nell’ambito di tutti i 36 mesi di durata massima dei rapporti a termine e si superi tale limite nella somministrazione. Ci sono, poi, nella legge Fornero parti non applicabili, come i criteri che consentono di definire la corretta titolarità di partite Iva, criteri che finiscono per danneggiare innanzi tutto le situazioni regolari e corrette. Poi, se proprio si vuole essere riformisti, sarebbe il caso di ridurre i danni derivanti dalla confusa disciplina del licenziamento individuale, per come è stata regolata dalla legge Fornero.

Saremo senz’altro fuori moda rispetto ad un Parlamento che somiglia ogni giorno di più alla Convenzione della Repubblica francese dopo Termidoro. Ma per noi l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ancorchè revisionato, rimane un ostacolo insormontabile sulla strada di un mercato del lavoro efficiente.

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