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Pyongyang condanna un cittadino Usa a 15 anni di lavori forzati

Quindici anni ai lavori forzati è la condanna comminata dall’Alta corte nordcoreana a Kenneth Bae, cittadino statunitense di origine coreana arrestato lo scorso novembre con l’accusa di “atti ostili”.

La scorsa settimana, nell’annunciare l’imminente processo contro la guida turistica statunitense, l’agenzia ufficiale KNCA era stata ancora più precisa con le accuse contro l’uomo conosciuto anche come Pae Jun-ho. Secondo quanto riportato dal comunicato, Bae avrebbe ammesso i crimini per “rovesciare la Repubblica popolare democratica di Corea”, nome ufficiale del regime di Pyongyang.

La guida era stata fermata lo scorso novembre nella zona economica speciale di Rason, nel nordest del Paese, al confine con la Cina. I motivi dell’arresto non sono sembrati da subito molto chiari. Secondo alcune organizzazioni per la tutela dei diritti umani è ipotizzabile che Bae abbia scattata foto di orfani, bambini malnutriti o che comunque sia entrato in possesso di immagini considerate propaganda anti-nordcoreana dal regime.

Alcune notizie circolate nei giorni successivi all’arresto, in base ad alcuni commenti pubblicati da altri statunitensi di origine coreana citati dal Christian Post facevano ipotizzare inoltre che in realtà il proprietario della Nation Tour, proveniente dallo Stato di Washington, potesse essere stato fermato per proselitismo religioso.

La condanna e prima ancora l’annuncio del processo sono arrivati in un periodo in cui i toni della propaganda di Pyongyang sembravano essersi fatti meno bellicosi rispetto le settimane successive al test nucleare dello scorso 12 febbraio e a quelle che hanno accompagnato le esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, terminate martedì.

A tenere banco nelle tensioni nella Penisola coreana continuava a essere il caso del complesso industriale inter-coreano di Kaesong, dove la produzione è di fatto ferma dal 9 aprile per la decisione del regime di Pyongyang di richiamare i 53mila operai impiegati da oltre 120 piccole e medie imprese del Sud ora in serie difficoltà.

Nei giorni scorsi il governo di Seul ha deciso la definitiva evacuazione degli stabilimenti, dove tuttavia rimangono ancora sette sudcoreani bloccati dal Nord per questioni di pagamenti. Pyongyang chiede che sia pagata una cifra che secondo l’agenzia sudcoreana Yeonhap dovrebbe aggirarsi attorno ai 10 milioni di dollari, di cui 7,2 milioni degli stipendi di marzo dovuti agli operai nordcoreani e dei quali il regime mantiene buona parte.

Sul piano diplomatico, sebbene informale, ieri è trapelata la notizia della disponibilità dell’ex presidente statunitense Jimmy Carter a volare nella capitale nordcoreana per riallacciare il dialogo e trattare la scarcerazione di Bae, motivo ufficialmente alla base del viaggio umanitario a Nord del 38esimo parallelo del numero uno di Google, Eric Schimidt, e dell’ex ambasciatore Usa all’Onu, Bill Richardson lo scorso gennaio.

Già nel 2010 l’ex capo di Stato democratico si spese con successo per la liberazione di Aijalon Mhali Gomes, statunitense condannato a otto anni di lavori forzati per essere entrato illegalmente in Corea del Nord dalla Cina. Mediazione riuscita come quella con cui nel 2009 Bill Clinton riportò a casa le due giornaliste Lisa Ling e Euna Le fermate mentre facevano riprese al confine con la Cina. Tuttavia, scrive il sito NK News, lo stesso Carter ha detto che non avendo ricevuto alcun invito dalla Corea del Nord non ci sarà alcun viaggio.

Intanto fonti diplomatiche a Pechino, secondo quanto riportato dal quotidiano Hankyoreh, rivelano che la Cina ha proposto una visita a Pyongyang del proprio inviato speciale Wu Dawei.

Wu è reduce da un viaggio negli Usa nel quale ha incontrato il suo omologo statunitense Glyn Davies. Al centro dei colloqui è stato il tema della denuclearizzazione della penisola coreana. Secondo il giornale sudcoreano l’eventuale viaggio di Wu e colloqui tra nordcoreani e cinese potrebbero avere un effetto significativo sul clima politico nella regione. Il governo di Pechino è ancora visto come uno dei pochi a poter fare pressioni sul regime sebbene all’interno della dirigenza ci siano diverse opinioni sui rapporti con Pyongyang e l’antica vicinanza, “come i denti con le labbra” per usare le parole di Mao, inizi a cedere.

Per ogni mediazione oltre al nucleare, Pyongyang ha una carta in più, un cittadino statunitense agli arresti.

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