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Perché il semipresidenzialismo francese è utile per l’Italia. Ventura replica a Violante

L’avvertimento con cui il “saggio” del pd Luciano Violante ha messo in guardia Enrico Letta dai rischi del modello presidenziale americano o semipresidenziale alla francese non convince Sofia Ventura, l’intellettuale considerata vicina politicamente a Matteo Renzi.

La differenza tra il modello francese e americano

La politologa, in una conversazione con Formiche.net, tiene a precisare che i due modelli non sono assimilabili: “Il presidenzialismo americano è molto lontano dai nostri sistemi europei: ha una netta separazione tra presidente e congresso. Nessuno può intervenire sulla durata l’uno dell’altro. Il modello francese invece ha anch’esso elementi di separatezza ma non così radicali: il presidente francese può ad esempio sciogliere l’assemblea nazionale e questo è uno strumento di deterrenza nel caso in cui essa costituisca un ostacolo all’azione presidenziale”.

Come funziona il modello francese

È vero quindi, come dice Violante, che un elemento di rigidità c’è, chiarisce la professoressa, poiché il presidente rimane in carica per un mandato fisso ma in questo caso c’è un limite nel suo potere: “Se ci si trovasse di fronte a un presidente inadeguato, si potrebbe creare una maggioranza in parlamento diversa che potrebbe sfiduciare il governo su cui si poggia il presidente. Egli quindi sarebbe costretto a nominare un capo del governo coerente con quella maggioranza. È un’ipotesi mai verificata fino ad ora ma fa capire quanto il presidente della Repubblica francese diventi la vera guida del Paese solo nel caso in cui la maggioranza sia coerente con quella che ha eletto il presidente”.

Perché applicarlo in Italia

Ogni modello ha le proprie incognite, fa notare Ventura che però “tifa” per l’applicazione di quello francese in Italia: “Esso ha dei pregi che quello parlamentare non ha. Il semipresidenzialismo dà un input alla radicale revisione dei partiti in Italia che è oggi necessaria. Le forze in campo con l’elezione diretta del presidente sarebbe costrette a riorganizzarsi per diventare partiti forti, in grado di raccogliere un consenso maggioritario, di presentare un leader capace di raccogliere il 50% + 1 dei voti, come prevede quel modello. È una posta in gioco molto alta che porterebbe i partiti disastrati che abbiamo oggi a ristrutturarsi”.

Il presidente non sarà Berlusconi
Si dice spesso che con questo modello, auspicato non a caso dal Pdl, potrebbe essere Silvio Berlusconi a ottenere quella carica. Uno scenario a cui la politologa crede poco: “Difficilmente ce la farebbe perché non ha la capacità di raccogliere quel consenso. Trovare un candidato non divisivo, che piaccia anche a un elettorato di centro o di centrosinistra che invece detesta il Cavaliere sarebbe la nuova sfida per il Pdl”.

La riforma elettorale non basta
Il modello parlamentare riflette le nostre debolezze, puntualizza Ventura: “Sia chiaro, io apprezzo sia il modello parlamentare britannico che il cancellierato tedesco ma in Italia, soprattutto in questa fase, non abbiamo partiti così forti da sostenerli. Per questo cambiare solo la legge elettorale non basta: con l‘attuale divisione tripartita dell’elettorato, anche con un doppio turno alla francese, non sarebbe garantita una maggioranza parlamentare chiara. Con un’elezione presidenziale antecedente e ravvicinata invece, ci sarebbe un effetto di trascinamento anche su quella legislativa successiva che tenderebbe a premiare il partito che ha avuto successo nell’elezione del presidente. Su questi elementi, dovrebbe scaturire il dibattito”, commenta la studiosa. 

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