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Emilio Colombo, un grande lucano

Forse la scomparsa di Emilio Colombo è capitata in un giorno intasato da più rumorose notizie. Forse l’Italia è davvero cambiata, ma probabilmente la figura dell’ultimo e fra i più giovani tra i partecipanti all’assemblea costituente, nonché decano dei senatori dopo l’addio di Giulio Andreotti, meritava un po’ più di spazio.

Emilio Colombo è stato senz’altro un protagonista della storia patria, di quella repubblicana e, ancor più, di quella della sua Basilicata, dove, a Potenza, tornava per votare e dove ha scelto di essere seppellito. Sarà davvero difficile per un qualsiasi altro lucano ripercorrere un cursus honorum solo paragonabile a quello di Colombo.

Basti ricordare che all’esordio, nel 1946, da giovanissimo leader della Gioventù dell’Azione cattolica, Colombo affronta, per il seggio all’Assemblea costituente, Francesco Saverio Nitti, famoso studioso del Mezzogiorno, ex presidente del Consiglio, esponente del Partito radicale storico, rientrante dal suo esilio antifascista. Vince Colombo con 21 mila voti, Nitti è costretto ad ammettere: «È un Colombo che volerà» da allora infatti il giovane “virgulto di sacrestia” non si è più fermato, nel 1948 raddoppia le preferenze di anni prima e viene riconfermato in tutte le legislature fino al 1992, anno in cui si dimise per incompatibilità con la carica di Ministro degli esteri (I governo Amato) come da regole stabilite dalla Segreteria DC.

Per misurare il consenso di Emilio Colombo basti considerare che nella sua unica sconfitta elettorale, nel 2001 con Democrazia Europea (DE), prese oltre undicimila voti pari al 15,3% delle preferenze lucane, quando su base nazionale DE non era andata oltre il 3,15%.
La sua popolarità nel Mezzogiorno è stata notevolissima: nel 1979, per la prima elezione europea a suffragio universale, supera le 850 mila preferenze. Anche il suo peso all’interno della Dc cresce, tra i più importanti Dorotei arriva ad avere una piccola corrente “personale”, i Colombei.

Gli incarichi

Lunghissima la lista degli incarichi, comincia da sottosegretario all’Agricoltura con De Gasperi per non fermarsi mai più durante l’intero arco della Prima Repubblica; ripetutamente ministro: sei volte agli Esteri, sei del Tesoro, quattro all’Industria, tre alle Finanze, due al Bilancio e programmazione economica, due all’Agricoltura e foreste, una al Commercio estero; presidente del Consiglio dall’agosto 1970 al febbraio 1972.
Per due volte è presidente del Parlamento europeo, presidente del Comitato atlantico e molto altro. Nel gennaio 2003 viene nominato senatore a vita da Carlo Azeglio Ciampi «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti in campo sociale».
E proprio da senatore a vita, nel 2007, diviene bersaglio degli attacchi del Centrodestra per l’appoggio al governo Prodi, tanto da doversi difendere:«Ma da chi vengono certe contestazioni ai senatori a vita? Da chi è stato eletto con una legge che essi stessi definiscono “una porcata”… se permette è ben più onorevole essere nominati da un presidente della Repubblica, magari dopo aver partecipato a sessant’anni di vita politica».

Le soddisfazioni

Del resto, che fosse ancora in forma lo si è visto anche durante l’esemplare presidenza della prima riunione dell’Assemblea del Senato il 15 marzo scorso, dove, non solo gli ultimi arrivati, sono rimasti colpiti da stile, linguaggio e competenza (molto bello il siparietto sull’interpretazione del regolamento).
In una così lunga carriera non sono certo mancate le soddisfazioni – l’ultima, recentissima, la pubblicazione del volume «Per l’Italia per l’Europa, conversazione con Arrigo Levi» – ma anche le possibilità di commettere errori. Tuttavia, la lunghezza stessa della strada percorsa da Colombo dovrebbe essere già un indicatore che i meriti superino le colpe.
E onore va riconosciuto al mantovano monsignor Augusto Bertazzoni, che da vescovo di Potenza, in quella terra remota, riuscì ad intuire le qualità di statista di quel giovanissimo militante dell’Azione Cattolica. Certo, non si può trascurare che anche Colombo, come molti esponenti di punta della Democrazia Cristiana, applicò la ferrea regola dell’essere innovatori nella Capitale e amministratori di un rigido sistema di potere e clientele nei collegi.
Quei leader, però, (quasi) mai utilizzarono e approfittarono delle risorse pubbliche per scopi privati, cosa che non si può dire per chi è venuto dopo e per chi c’è oggi, ma soprattutto erano dotati di una capacità d’ascolto che, nonostante l’abbondanza di mezzi, per gli attuali è poco meno di una chimera.

Gli insegnamenti

Ed il presidente Colombo per aprire il suo sito internet ha scelto una foto in bianco e nero che lo vede ritratto intento a prendere appunti dettati da un contadino in occasione di un comizio.
Scena che probabilmente si è ripetuta diverse volte nei 132 comuni lucani, ognuno caratterizzato da un suo linguaggio. E quei comizi affollati sono rimasti nella memoria dei lucani, così infatti ricordati da Gianni Pittella, oggi vice presidente del Parlamento europeo: «Ricordo il fiume di persone quando faceva i suoi comizi a Lauria. Che erano veri e propri tour de force quelle campagne elettorali, con incontri che iniziavano alle 10 e finivano a mezzanotte. Ricordo l’attesa della popolazione. E del resto Emilio Colombo era un uomo di straordinaria gentilezza».
Ecco, forse l’ascolto, l’etica dell’ascolto, è il più facile – da capire – degli insegnamenti di Colombo.

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