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Riforma elettorale, un fantasma nel questionario di Quagliariello

“Vogliamo promuovere una vasta consultazione on line per conoscere le valutazioni dei cittadini sui molteplici aspetti della revisione costituzionale. Allo scopo di farne tesoro per legittimare e rafforzare il percorso di innovazione istituzionale ormai incardinato”. Con queste parole il responsabile per le riforme Gaetano Quagliariello ha annunciato l’iniziativa telematica promossa dal governo per sondare gli orientamenti dell’opinione pubblica sul modello di Stato, i poteri degli enti territoriali, il rapporto tra Camera e Senato e il ruolo di Palazzo Madama nel processo legislativo, la forma di governo.

Tuttavia, nella selva di interrogativi complessi e dettagliati che vengono rivolti agli elettori nel sito www.partecipa.gov.it risalta una clamorosa assenza. Perché, tra la proposta di ridiscutere il bicameralismo e di riservare all’esecutivo una corsia preferenziale nell’iter parlamentare delle leggi, fra l’idea di abrogare le province e accorpare le regioni, tra l’ipotesi di uno Statuto dell’opposizione e la spinta ad allargare gli istituti di democrazia diretta, nessuna domanda concerne il meccanismo di voto: maggioritario di collegio britannico o francese, proporzionale tedesco o spagnolo, conservazione della normativa in vigore. Una lacuna tanto più rilevante se è vero che il Comitato dei 35 costituzionalisti e politologi incaricato di esaminare il dossier delle riforme “ha messo in risalto la profonda connessione tra forma di governo e legge elettorale”. Regola che rappresenta il pilastro qualificante di una regime politico-istituzionale, la chiave di volta del funzionamento dei suoi poteri e delle dinamiche partitiche.

Una rimozione di natura politica?

Perché l’opzione tra i più collaudati sistemi occidentali di formazione delle assemblee rappresentative e dei governi è rimasta esclusa dalla consultazione? È fuor di dubbio che dal punto di vista giuridico la legge elettorale è una norma ordinaria e non di rango costituzionale. Ma il suo valore l’incidenza delle sue ripercussioni sul panorama politico e sulla vita delle istituzioni le attribuiscono un ruolo decisivo rispetto alla “sovrastruttura costituzionale”. Rimuoverla dal questionario in omaggio a una lettura formalistica delle fonti del diritto appare riduttivo se non fuorviante. È inevitabile chiedersi se la sua estromissione non abbia una ragione politica, visto che nell’immaginario collettivo non è difficile associare all’elezione del presidente degli Stati Uniti e della Francia, all’investitura del primo ministro del Regno Unito e del Cancelliere tedesco un peculiare meccanismo di voto. Peraltro gli italiani sono stati già chiamati a compiere una scelta su questo terreno: nell’aprile del 1993, quando si trovarono davanti all’alternativa tra il mantenimento del proporzionale con liste di partito che aveva contraddistinto l’esperienza repubblicana dal 1948 al 1992 e l’opzione per il collegio maggioritario a turno unico.

L’idea di un referendum deliberativo sulla riforma elettorale

Una prospettiva analoga aveva ispirato il disegno di legge costituzionale presentato il 18 ottobre 2010 in Senato da una pattuglia di parlamentari del Pd guidati da Pietro Ichino e Stefano Ceccanti. Il testo proponeva un “referendum deliberativo o di indirizzo” che permettesse ai cittadini di decidere liberamente e a maggioranza quale legge elettorale adottare fra tre modelli possibili: il maggioritario uninominale a doppio turno prediletto nel versante progressista, il proporzionale tedesco con soglia di sbarramento al 5 per cento sostenuto dai centristi, e quello spagnolo imperniato su piccole circoscrizioni con pochi seggi in palio e liste bloccate corte privilegiato dal centro-destra. Come era possibile leggere nella relazione all’iniziativa, “si trattava dell’unico modo per affrancare la riforma elettorale dai giochi che si svolgono nel chiuso del Palazzo per ricercare il compromesso più funzionale alle convenienze delle oligarchie e restituire ai cittadini, senza gli equivoci del referendum abrogativo, la scelta sulla legge cardine di un regime democratico rappresentativo”.

Non sarebbe stato un esperimento inedito a livello internazionale, se è vero che la Gran Bretagna aveva deciso di convocare nel maggio 2011 i sudditi di Sua Maestà per chiedere se era ancora valido il plurisecolare sistema del first past the post. E neanche una prima volta assoluta in Italia, visto che nel giugno 1989 in concomitanza con le elezioni per il Parlamento europeo si svolse un referendum di indirizzo sul conferimento di un mandato costituente all’assemblea di Strasburgo. Si voleva affermare il principio di leggi elettorali alternative concepite in sede parlamentare con contributi esterni di studiosi, ampiamente dibattute da un’opinione pubblica coinvolta e informata, consapevole che la sua scelta avrebbe vincolato il ceto politico nel plasmare le istituzioni del futuro. Un progetto animato da una filosofia antitetica a quella che sembra permeare l’odierna consultazione on line.

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