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A proposito dei cervelli in fuga

Tra le molte retoriche che si sentono da parte dei politici c’è quella che riguarda la cosiddetta  “fuga dei cervelli”. Ma è davvero così?

A bene vedere, stando ai dati (esigui) disponibili, non c’è nessuna fuga dei cervelli, anzi una vera e propria difficoltà a farli uscire.

Concordo con la critica rivolta a questa metafora dal prof. Livi Bacci  (su neodemos.it ) e concordo con le domande da lui poste – “mettiamo da parte l’infelice – e ambigua – metafora dei cervelli in fuga. Forse che chi emigra con la sola licenza elementare non ha né cervello né talento? E poniamo la questione in italiano: c’è una forte emigrazione di persone giovani, con alti livelli di istruzione, o comunque impegnati in attività e professioni connesse con la ricerca, la scienza, la tecnologia, l’alta formazione?”

Dai dati ISTAT (2011) e dai dati dell’indagine sui laureati di Almalaurea (2012) risulta che la quota di persone altamente istruita (laureati o dottori di ricerca) che lasciano l’Italia per l’estero sono non più del 7% del totale del campione.

Questo significa, sempre usando le parole del prof. Livi Bacci che “1 dottore di ricerca su 15 (a 3-5 anni dal dottorato) si trov(a) all’estero” dunque  “non sembra un dato allarmante” così come il fatto “che ad un anno dalla laurea specialista – tra gli occupati – 1 giovane su 25 lavori all’estero”. Questa è la dimensione reale della cosiddetta “fuga dei cervelli”.

Il problema è semmai che gli italiani fanno poche esperienze all’estero, apprendono con maggiore difficoltà (non perché non possano, ma spesso perché non vogliono) una lingua straniera e preferiscono restare in Italia. Il problema vero per l’Italia, come ha osservato Laura Balbo in un suo articolo su sbilanciamoci.it, è che i cervelli in fuga verso l’Italia sono pochissimi. Ossia, l’Italia non rappresenta una meta appetibile per gli studenti stranieri. Questo è dovuto, in parte, agli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo del nostro Paese.

Quindi, in conclusione, la metafora dei cervelli in fuga, molto infelice, è una metafora che non regge. La stima OCSE che indica (2007) 1 miliardo e 173 milioni di costo per l’Italia per gli 11700 laureati andati all’estero (valore calcolato assumendo che il costo del percorso formativo ammontava a 100 mila euro) è una stima che non considera il ritorno dei laureati a conclusione del programma Erasmus, o Leonardo. Tuttavia, anche se la stima fosse veritiera, concordo con Balbo: perché “spreco”? Non è piuttosto un investimento, ancora in formazione ed esperienza, che i laureati (pochissimi, rispetto a quelli di altre nazioni) fanno?

Cosa fare allora? Incentivare le esperienze in itinere degli universitari in Paesi stranieri, ma anche dei ragazzi delle scuole superiori. L’apprendimento di una seconda o terza lingua non è uno spreco, bensì un grande “investimento”. Il fenomeno è molto più complesso di quanto non appaia con la metafora dei “cervelli” in fuga.

L’Italia dovrebbe anche preoccuparsi di quei “cervelli” che in Italia rimangono e che ogni giorno vedono svanire possibilità di occupazione e vedono deteriorarsi il proprio capitale umano, che come noto, con il tempo, se non rinnovato e sfruttato, si deprezza.

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