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Bielorussia, il nuovo terreno di scontro tra Mosca e Pechino

Gas, un territorio vergine in cui investire e una porta spalancata verso il mercato europeo. Sono questi i motivi per cui la Cina sta investendo sempre più in Bielorussia. Un afflusso di dollari supplicato dal presidente Alexander Lukashenko, che intende svincolarsi dalla dipendenza russa senza piegarsi ai controlli europei che accusano “l’ultimo dittatore in Europa” di calpestare i diritti umani. E tra i due litiganti – Mosca e Bruxelles – è Pechino a costruirsi un avamposto commerciale senza precedenti.

Il parco industriale di Minsk

L’ultimo progetto? Un parco industriale vicino all’aeroporto di Minsk da 5 miliardi di dollari finanziato da Cina e Bielorussia, spiega il Financial Times. Finora 2 milioni di dollari sono stati spesi sul progetto preliminare, ma entro il 2030 è prevista la costruzione di un grande hub tecnologico e di una città da 150mila abitanti.

Gli investimenti russi e il rilancio dell’export

Il parco industriale è il punto chiave della strategia del governo per stimolare gli investimenti stranieri nel Paese, che si sono fermati a 1,3 miliardi di dollari nel 2012 per lo più grazie a fondi russi. Ma l’obiettivo è anche il rilancio l’export di carburanti raffinati, potassio e macchinari industriali. E per realizzare il suo progetto, il presidente Alexander Lukashenko, che gli Usa definiscono l’ultimo dittatore europeo, sta cercando sempre più l’aiuto cinese.

La vendita del gasdotto a Gazprom

Il Paese, che conta 9,5 milioni di abitanti, si è isolato sempre più dal 2010, quando Lukashenko è tornato al potere mettendo all’angolo l’opposizione. Da allora, le sanzioni di Unione europea e Stati Uniti contro i sostenitori del regime hanno spaventato molti potenziali investitori. Salvata dal collasso nel 2011 con un prestito russo di oltre 3 miliardi di dollari, Minsk è stata costretta a vendere asset fondamentali, come il maggior gasdotto che collega l’Est a l’Ovest, finito nelle mani della russa Gazprom.

La crisi economica

Dopo un barlume di ripresa lo scorso anno, l’economia nel 2013 si sta affossando di nuovo. Le esportazioni crollano, così come la domanda interna. Il forte controllo statale dell’economia comporta un tasso di disoccupazione mantenuto artificialmente basso ma la situazione rende sempre più difficile per Lukashenko mantenere la sua promessa di innalzare lo stipendio medio a 500 dollari mensili.

L’accordo con la Cina

Riluttante ad aumentare la sua dipendenza dalla Russia e con Bruxelles che spinge per un maggiore rispetto dei diritti umani nel Paese, Lukashenko ha fatto un tour in Cina per stimolare fondi ed investimenti in Bielorussia, ribadendo il suo appoggio al programma “Great China”. I due Paesi, sottolinea il Financial Times, hanno siglato un accordo per uno stanziamento da 1,5 miliardi di dollari in progetti e un’alleanza strategica che critica le interferenze straniere negli affari bilaterali. E l’affinità non è solo economica. “Ogni Paese ha il diritto di scegliere la propria strada nella tutela dei diritti umani”, si è ribadito a Pechino.

Gli affari cinesi in Bielorussia

Ma, nonostante le speranze di Lukashenko, la Cina sta giocando in modo duro con la Bielorussia. Gran parte dei 5 miliardi di dollari a bassi tassi elargiti al Paese dalle banche cinesi sono legati a progetti che usano beni, imprese e materie prime cinesi. Il commercio tra i due Stati ha sfiorato i 3 miliardi di dollari nel 2012, ma a tutto vantaggio di Pechino, che ha venduto merci per 2,4 miliardi di dollari alla Bielorussia. Numeri importanti se si considera che il Pil del Paese è stato di 58 miliardi.

L’irritazione di Mosca

La posizione della Russia nell’avvicinamento sino-bielorusso non è chiara. Gli investitori a Minsk puntano a produrre e esportare beni per l’unione doganale con Russia e Kazakhstan, così come per i vicini europei, in primis la Lituania. La casa automobilistica cinese Geely ha creato una joint venture in Bielorussia con l’obiettivo di assemblare macchine da vendere in Russia, uno dei mercati automobilistici più forti nel mondo ma che si è finora chiuso agli investimenti cinesi. “Se la Bielorussia decidesse di assemblare macchine cinesi, la materia dovrebbe essere negoziata con la Russia, che non ha intenzione di danneggiare la sua industria automobilistica”, ha detto l’ambasciatore russo in Bielorussia Alexander Surikov. La contesa tra Mosca e Pechino è solo all’inizio. Poco male per Bruxelles, che continua a pensare alla tutela dei diritti umani e resta a guardare, come al solito.

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