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Il destino di Berlusconi tra poteri forti e poteri marci

E’ difficile dissentire dalle considerazioni di grande buon senso di Mario Sechi su Formiche.net. E’ difficile però anche prevedere un percorso lineare verso questi esiti di buon senso.

Un paio di anni fa tra la maggioranza di Magistratura democratica e ambienti dell’Alta giustizia era maturata l’esigenza di guidare una via di uscita delle tensioni tra politica e toghe che caratterizzano l’Italia in particolare dal 1992 e ne impediscono l’indispensabile riforma dello Stato.

Però le posizioni ragionevoli vennero sgombrate da una serie di eventi iniziati con l’affossamento irresponsabile (di cui anche un qualche pur benemerito Grande Pacificatore, non sempre coraggiosissimmo, ha una certa responsabilità) del Lodo Alfano. Da lì partì l’onda per abbattere extrapoliticamente Silvio Berlusconi.

Le influenze internazionali

Per capire come andrà a finire anche questa volta bisogna riflettere su quel che è avvenuto due, tre anni fa. Certo senza dimenticare alcune stoltezze berlusconiane ma concentrandosi sui processi di fondo che a mio avviso non sono comprensibili senza ragionare sull’anomalo sistema di influenze internazionali che il nostro Stato particolarmente debole consente.

Tra americani e tedeschi

Infatti né l’estremismo di alcuni settori della magistratura (e dello Stato) né il corporativismo che li copre spiegano certe dinamiche. In un’Italia dove le due più decisive personalità, quelle che hanno dato il maggiore contributo a contrastare la crisi, Mario Draghi e Sergio Marchionne, sono esponenti più dell’establishment americano che di quello italiano, dove tutte le principali istituzioni finanziarie, da Intesa a Generali a Unicredit, hanno dovuto ricorrere a quadri cresciuti nell’establishment tedesco per superare le proprie impasse, è evidente come gli inevitabili (e in parte opportuni) condizionamenti, tanto più forti per un membro dell’Unione europea e dell’euro, si trasformino in qualcosa di un po’ troppo determinante.

La prossima fase

E così quando i ritmi della crisi mondiale mettono pressione su Washington e Berlino (e Parigi) la tentazione di semplificare innanzi tutto il governo di Roma, diventa irresistibile (e trova gli opportuni alleati in certi settori dello Stato). La prossima fase dunque non è prevedibile senza capire che cosa faranno centri d’influenza così rilevanti per la nostra vita interna come quelli americani, tedeschi e in parte francesi.

Il ruolo della Casa Bianca

La linea della Casa Bianca di puntare sul un mercato unico transatlantico apre uno spazio per la speranza che le prossime fasi saranno dominate più da politiche costruttive che da tattiche innanzi tutto di destabilizzazione e (si pensi a una personalità così evanescente come Mario Monti) di indebolimento strutturale della governance italiana. Bisognerà vedere se prevarrà la logica imperiale che richiederebbe una pacificazione italiana o qualche aggressività di stile Chicago (e quando il consigliere economico di Matteo Renzi chiede di vendere l’Eni sembra di intravedere tracce di questo stile). E bisognerà vedere se la prospettiva del mercato transatlantico (e le elezioni di settembre) aiuteranno Angela Merkel a dotarsi di una visione un po’ meno bottegaia.

Elkann, Della Valle e i cattolici

Ci potrebbe essere un percorso meno esterodipendente? Forse sì. Ma la soluzione non poggia solo sul pur magnifico Giorgio Napolitano e neanche sul Pd – un agglomerato un po’ allo sbando ma in cui le forze capaci di responsabilità nazionale prevarrebbero in un quadro solido – bensì su quel che resta del nostro establishment. Se John Elkann volesse comprare il Corriere della Sera per aiutare la ricostruzione dello Stato italiano pur nel quadro dei suoi rapporti speciali con gli Stati Uniti rinunciando a certi giochini giustizialisti della Stampa e a far di via Solferino un buca delle lettere della procura; se Diego Della Valle (e i suoi amici) esprimessero veramente una vocazione di riscatto “borghese” invece di dare sempre un’impressione (per esempio discutendo dei destini del Corriere con Carlo De Benedetti) da “Franza o Spagna”; se il mondo cattolico facesse un’attenta riflessione su come una certa idea di centralità abbia portato al ridimensionamento di tutte le personalità di qualità sia in politica (da Pierferdinando Casini a Roberto Formigoni) sia in economia (anche per Giovanni Bazoli sembra scoccata l’ora del declino) e come la “nuova speranza” Renzi si permetta di insultare il vescovo della propria città.

Basta con i vincoli esterni

Se questa nuova consapevolezza maturasse e i processi di riforma dello Stato (compresa la giustizia) decollassero, forse ce la potremmo fare anche (almeno un po’) da soli rinunciando a una delle più nefaste idee del dopo ’92, quella del “vincolo esterno” che deve imporci di essere virtuosi.

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