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Paolo Messa e il futuro del Centro

Le considerazioni svolte da Paolo Messa il 22 giugno u.s. nella lettera a Formiche, a proposito del ruolo futuro del Centro, sono condivisibili e molto apprezzabili, per  realismo politico e per chiarezza di esposizione. Messa, alla luce del conclamato fallimento dell’incontro politico-elettorale dell’Udc con Scelta Civica e degli scontri tuttora in corso tra i vari spezzoni all’interno di quest’ultima, valuta non praticabile la strada che porta a ricercare probabili alleanze, fusioni, convergenze con coloro che sono distanti, meglio costruire un progetto politico con chi è più affine per cultura, per programmi, per ispirazione ideale. Un itinerario comune insomma è possibile, se si riconoscono principi, valori, patrimonio identitario. E quindi, partire da qui per iniziare un percorso, la cui prima verifica dovrebbe essere la prossima tornata elettorale per il Parlamento Europeo. Essa potrebbe risultare una valida tappa, funzionale al rilancio di una ipotesi politica più concreta per chi guarda ai Popolari del PPE in Italia, figli del pensiero democristiano. Un aspetto questo che va sottolineato con chiarezza, in ciò risulta preziosa e molto opportuna la lettera di Paolo Messa, visto che Casini e l’Udc nel loro itinerario, per distrazione o per amnesia, hanno trascurato gli insegnamenti derivanti dal “popolarismo”, e si sono messi a scimmiottare personaggi approssimativi della commedia politica italiana, negli ultimi anni quasi tragedia. La ricchezza culturale che parte da Rosmini, Gioberti e giunge a Murri, Sturzo, De Gasperi, fino ai “professorini” di Dossetti e Fanfani, è risultata preziosa per una sintesi storico-politica valida per l’Italia e per l’Europa. Nessuno può consentirsi di considerarla un residuale arnese da tenere nel deposito delle cose inutili. La soluzione per dare una risposta ai problemi degli italiani, che guardavano alla pace fra i popoli e fra le classi in un concetto nuovo di democrazia scaturì da tali ideali. Oggi, visto quanto realizzato dai democristiani nel XX secolo, in una ricomposizione di tutti gli elementi di novità, di progresso, di espansione tecnologica e di coscienza globalizzata l’esperienza dei cattolici in politica può essere ancora valida, funzionale alla realizzazione del bene comune, e a fissare una regola altruista e solidale? Sì certamente, soprattutto perché quel patrimonio politico è utile per liberarci da un gravoso fardello, che altri, incompetenti e incapaci, hanno posto sulle nostre spalle. Esso è fatto di macerie, di scelte sbagliate o di non scelte che hanno nociuto alla crescita e al prestigio dell’Italia. Ne potremmo citare tante, ma ci limitiamo alle più spinose: disgregazione della scuola; il potere baronale dell’università, che perpetua antichi vizi; il federalismo sciatto e straccione, che blocca decentramento, sussidiarietà; regioni che ancora hanno finanze sfasciate; “questione meridionale” dimenticata; giustizia ridotta a parodia di sé stessa; welfare smantellato. Non si scrutano all’orizzonte idee, proposte, né del PD né del PDL, adeguate per riportare il Paese fuori dalle difficoltà. Dimostrano i suddetti partiti di non avere una cultura, un’etica, visione politica all’altezza della complessa condizione nella quale si trova l’Italia. Ogni volta che sono stati chiamati a prove ardue hanno fallito. E’ giusto, quindi, guardare a chi per storia, competenza, capacità ha saputo guidare il Paese nei momenti di maggiore problematicità. E allora perché non riferirsi a quell’unica vera cultura politica in campo in questo frangente storico, tenacemente osteggiata, in grado di garantire una reale governabilità dell’Italia? Per riuscire nell’impresa, coscienti dello stretto sentiero che esiste tra PD e PDL, v’è bisogno anche di uomini consapevoli, coerenti, convinti di essere eredi di un patrimonio ideale e politico invidiabile, e di saper spiegare agli italiani che la strada per riprendere il cammino, che conduce alla crescita e allo sviluppo nella libertà e nella democrazia esiste.

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