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Cairo chiama Tunisi? Per ora le donne si prendono il palco

Non solo protestare contro il governo in carica, ma rivendicare il ruolo sociale delle donne all’interno di una società che, a fatica, tenta di non disperdere gli ultimi residui della rivoluzione dei Gelsomini di due anni fa. Tunisi guarda al Cairo e si scopre “a trazione femminile”, con le donne che decidono di farsi largo e prendono la guida delle manifestazioni antigovernative nella capitale a solo un mese dall’omicidio politico di Mohamed Brahmi. 

Data non casuale
La scelta della data coincide con la festa nazionale che celebra la legge che oltre mezzo secolo fa sancì la piena parità fra i generi. Approfittando di una piccola tregua del caldo torrido, martedì sera un fiume di persone si sono riversate in strada partendo da piazza Bab Saadoun: direzione Bardo. E’ stato in quel frangente che moltissime donne, avvolte dalla bandiera nazionale, hanno materialmente guidato il corteo composto da 200 manifestanti.

No al governo sì alla parità
“La Tunisia, figlia di un Mediterraneo progressista sceglie il giorno della festa della donna, il 13 agosto, per dire no al governo e lo fa con tante Alyssa (Didone per i nostri libri di scuola) dei nostri giorni” commenta la scrittrice italiana Ilaria Guidantoni, autrice di tre pamphlet sulla rivoluzione tunisina, tra cui il recente “Tunisi, chiacchiere, datteri e thè” (Albeggi edizioni). Sono state le donne ancora una volta a prendere l’iniziativa, ammette, “il coraggio nel segno della concretezza. Rinnovo qui l’invito che ho fatto alle donne tunisine a RTCI, il canale radiofonico internazionale, in occasione della loro festa nazionale: lavorare in squadra come hanno dimostrato finora al di là delle divisioni sociali, di cultura e di credo, oltre la logica delle ideologie. Il messaggio è quello di muoversi in rete su progetti concreti di lavoro dove i diritti delle donne possono essere verificati ed è questa la vera sfida. C’è un risveglio che può essere positivamente contagioso per tutto il mondo mediterraneo nel segno del femminile, – continua – a patto che non sfoci in rabbia, in comportamenti che possano ritorcersi contro le donne e che le separano dal mondo maschile. La strada è quella del dialogo tra generazioni. Bisogna insegnare alle giovanissime ad ascoltare e gli strumenti di una battaglia ché non si trasformi in lotta. Il mio augurio è che la generazione tunisina matura a livello di età non rinunci in questo compito”.

Una grande festa
E’ stata proprio una grande festa con al centro la donna tunisina, con slogan antigovernativi e sciorinati contro i componenti dell’esecutivo Ennahda, Ettakatol e Congresso per la Repubblica. Ma il bersaglio principale è stato Ennahda, il partito islamico di Rached Gannouchi. L’accusa rivoltagli è quella di volere riportare indietro di decenni la condizione femminile, sulla scia di una visione chiusa dell’Islam, con il risultato di azzerare i progressi sociali tentati nell’ultimo biennio. L’esatto contrario che i riverberi della rivoluzione dei Gelsomini intendevano perseguire.

Miscellanea sociale
Per le strade, mescolati fra i manifestanti e sempre accanto alle donne in testa al corteo, sono comparsi esponenti del momento politico culturale, artistico del Paese e non come Jack Lang, ex ministro francese della Cultura. Chi ha perso? Senza dubbio Ennahda, che aveva organizzato una contromanifestazione femminile contando sulla presenza di alcuni bus provenienti dalla provincia, ma che ha fatto flop.

Nessuno scontro
Consola, guardando ai fatti egiziani, l’assenza di ogni tipo di contatto o scontro tra manifestanti e forze dell’ordine. Mentre si apprende che la stragrande maggioranza dei destinatari della grazia presidenziale, concessa in occasione della fine del Ramadan, sono palesi sostenitori dei partiti di governo. Come dire che la tensione resta in progressivo aumento.

twitter@FDepalo

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