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Vent’anni senza la DC: confronto tra De Mita, P. Messa e Macry

“L’Italia della diaspora” :1993 – 2013 vent’anni senza la DC? Argomento trattato al Piccolo Festival della Politica tenutosi nell’antico e incantevole borgo di Sant’Agata de’ Goti (BN). Ne hanno discusso il direttore Paolo Messa, il presidente Ciriaco De Mita e il prof. Paolo Macry dell’Università Federico II di Napoli. Il ricchissimo confronto si è svolto tutto sul come e sul perché dopo 20 anni, finita l’era della DC al governo, l’Italia continua a vivere una condizione di preoccupante crisi, difficilmente risolvibile in tempi brevi. Nell’acuta disamina compiuta dai tre relatori sono emersi spunti per una profonda riflessione sul ruolo della DC come partito pilastro della nostra democrazia. L’analisi non poteva lasciare in secondo piano le ragioni che portarono a “mani pulite”, e perché la DC si fece cogliere di sorpresa in quegli anni. Paolo Messa, prendendo in esame quest’aspetto ha ricordato le varie ipotesi circolate a suo tempo circa l’interesse, verosimile, avuto da gruppi stranieri in tale operazione. C’era evidentemente l’intento di mettere fuorigioco l’alleanza di governo costruita intorno alla DC e partecipare alla grande speculazione  sulle privatizzazioni dei beni pubblici.
Finita l’era politica di Berlusconi, Messa ha auspicato che i partiti possano dedicarsi alla loro riorganizzazione e al confronto, anche scontro, se si vuole, di carattere culturale e politico, cosa che purtroppo è mancata del tutto in questi venti anni, per cui c’è stato lo spaventoso declino della politica. C’è bisogno di politica vera per far rinascere la fiducia dei cittadini nei suoi confronti.
Il prof. Macry nel fare esplicito riferimento al rapporto politica-giustizia, tema ricorrente della serata, e  considerato che la DC non è stata sconfitta, perché sfiduciata dal corpo elettorale, ma solo dalla via giudiziaria, con disappunto ha affermato che dopo 20 anni il Paese ancora si dibatte su questi spinosi problemi giudiziari, che hanno per protagonisti esponenti politici, senza individuare una via seria per rimettere su binari propri, con organiche riforme, il ruolo della politica e quello della magistratura.
De Mita ha sostenuto invece  che “mani pulite” non è arrivata per caso: era quasi prevedibile che dopo il 1989 saltasse il tappo. I segnali già si erano avvertiti molto tempo prima. Ha concordato con Paolo Messa sul fatto che c’era la percezione che i meccanismi della gestione del potere non fossero proprio in linea con le procedure della buona amministrazione. Negli anni ottanta delle avvisaglie da parte della magistratura c’erano state e nessuno nella DC le aveva considerate nella sua vera importanza.
E sulla lettura del 1989, caduta del Muro, De Mita ci ha tenuto a precisare che è rimasto sempre turbato, per l’analisi compiuta dalla storiografia italiana, dall’informazione nostrana e anche da qualche sprovveduto democristiano, che spiegavano come, finito il comunismo, la Dc non aveva più ragione di esistere. Invece, la storia era la storia di due grandi forze popolari, Dc e la sinistra, socialisti e comunisti, che dalla fine dell’Ottocento e dall’inizio del Novecento hanno avuto una competizione vera, anche dura ma seria, per risolvere i problemi del Paese. L’Italia si è trasformata grazie al protagonismo di queste due forze politiche, che non erano a guida personale, ma partiti veri costruiti su grandi culture, e con democrazia interna reale, governati da leader politici che se studiavano, pensavano e quindi agivano, ma quando parlavano, lo facevano attraverso le opere che realizzavano.
Alla fine della serata, l’interessante e prezioso confronto ha fornito una chiara indicazione: l’Italia ha bisogno di buona politica e per poterla ottonere è necessario che le storiche culture politiche che hanno contribuito allo sviluppo dell’Italia vengano riscoperte e applicate. Non si tratta di rifare la DC, ma l’assenza della cultura del movimento politico dei cattolici ha procurato di sicuro inaridimento della vita politica nazionale. Il ventennio trascorso sta dimostrando che senza il pensiero popolare è difficile il buon governo dell’Italia.

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