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Passera, Capaldo e Follini. È nato il partito della Terza Repubblica?

Un progetto di “de-statalizzazione” dell’Italia, per creare una democrazia politica partecipata grazie alla vitalità associativa dell’opinione pubblica, liberare e valorizzare l’impresa creatrice di lavoro e promuovere un Welfare calibrato sulle esigenze della persona.

È questo il succo dell’appello-documento elaborato dalla Fondazione “Nuovo Millennio-Per una Nuova Italia” e presentato a Roma dal suo presidente Pellegrino Capaldo, professore emerito di programmazione e finanza aziendale all’Università La Sapienza, dall’ex parlamentare centrista e democratico Marco Follini, dall’ex titolare del ministero dell’Ambiente Corrado Clini e dall’ex coordinatore nazionale di Italia Futura Federico Vecchioni.

Un’iniziativa che, se per ora rifiuta etichette di partito, presenta un’impronta politica che trae spunto dalla critica al bipolarismo egemone negli ultimi venti anni. Lo conferma la presenza, tra gli altri, di esponenti antichi della Dc e attuali dell’Udc, impegnata in un percorso verso l’approdo del PPE italiano. Ma accanto a Ciriaco De Mita, Enzo Carra, Bruno Tabacci, Francesco D’Onofrio, Renzo Lusetti, Gabriella Carlucci, hanno partecipato rappresentanti della storia recente di sinistra e destra come Willer Bordon, Isabella Bertolini, Silvano Moffa e Mario Landolfi.

Una profonda affinità di visione e linguaggio

È emersa una consonanza di vedute e obiettivi con l’operazione politica messa in atto da Corrado Passera. L’ex responsabile dello Sviluppo economico è intervenuto manifestando la sua adesione a un progetto che rifiuta di chiamare “moderato”. Parlando di priorità del lavoro accanto a PIL e deficit, ha esortato a ripensare la destinazione degli 800 miliardi di spesa pubblica e invocato un intervento di centinaia di miliardi per liberare il tessuto produttivo dalle zavorre che lo paralizzano. Anche per l’ex manager e banchiere l’imperativo è “evitare il darwinismo sociale della globalizzazione affermando le nostre eccellenze e creando uno Stato sociale flessibile e imperniato sul Terzo settore”. La profonda sintonia con i responsabili di Terzo Millennio potrebbe costituire il preludio di un’aggregazione partitica-elettorale con ambizioni di governo.

Le linee guida del nuovo progetto politico

A disegnare l’orizzonte del progetto rivolto al ceto politico, alla classe dirigente e all’opinione pubblica è Pellegrino Capaldo. Fiducioso nel fatto che il declino economico ed etico-sociale dell’Italia non sia irreversibile, l’economista esorta i cittadini a un’assunzione di responsabilità etica che non si estrinseca nel “Non rubare” ma in una più alta partecipazione che rifiuta la delega ai capi carismatici. È in tale cornice che si può e deve riformare la politica a partire dal finanziamento dei partiti. Un capitolo a cui l’ex banchiere ha dedicato una proposta di legge fondata sulla volontaria contribuzione incoraggiata da robuste agevolazioni fiscali. A una condizione ben precisa: “Tetto di 2.000 euro ai versamenti, che devono restare soggettivi e non aziendali. Altrimenti la politica diventa appannaggio e terreno di ricatto di lobby e potentati economici”.

Le priorità economiche

Dopo questa premessa, l’Italia deve scegliere le sue priorità economiche “con un progetto realistico portato avanti con convinzione anziché rincorrendo le pulsioni temporanee della gente”. E il progetto prende il nome di “de-statalizzazione e de-burocratizzazione”. Che non comporta una generale ritirata delle istituzioni pubbliche, ma una loro rinnovata funzione di indirizzo e controllo: non di gestione che spetta alla creatività dei singoli. Respingendo ogni “fondamentalismo liberale”, lo studioso immagina un diverso modo di essere dello Stato, a partire dalla tutela delle fasce più fragili che oggi resta sulla carta. Un esempio significativo? “La sanità, il cui obiettivo universalistico può e deve essere perseguito con il coinvolgimento del privato e del Terzo settore. È un modo intelligente e creativo di superare la dicotomia Stato-mercato”.

Non demonizzare il profitto

Altro pilastro del programma riguarda il rilievo sociale da conferire all’impresa, che coincide con il lavoro in una logica che non demonizza il profitto: “Pensiamo all’equivoco del referendum sull’acqua, con la nozione di remunerazione degli investimenti che è stata giudicata uno scandalo”. Ulteriore capitolo è ripensare e semplificare l’assetto dei governi, in primo luogo le regioni, “troppe e mal congegnate”. Ma per realizzare simili obiettivi è necessaria un’operazione verità di fronte all’Unione Europea. Il che vuol dire “impegnarci nel risanamento dei conti pubblici e ottenere l’allargamento delle maglie del 3 per cento nel rapporto deficit-PIL per promuovere una strategia di sviluppo ricorrendo alla leva tributaria”. Un’operazione che tocca i risvolti economici delle arretratezze del pianeta giustizia. A suo avviso dovrebbero essere gli stessi magistrati a farsi promotori di una proposta di riforma – scegliendo autonomamente di sciogliere le correnti – anziché subirla dalla classe politica come ritorsione.

Le illusioni da superare secondo Follini

Un progetto di tale respiro richiede il superamento di due grandi illusioni e abbagli che, ha spiegato Marco Follini, ci hanno fatto bruciare gli ultimi vent’anni. “La prima è il bipolarismo i cui mali riguardano PDL e PD, che elettoralmente hanno successo tra casalinghe, pensionati, lavoratori del pubblici: non certo le avanguardie della modernizzazione economica”. Con un elemento aggravante: “A destra si è creato un blocco che tende a credere poco a leggi e valori sociali, mentre a sinistra ci si ancora alla mano salvifica dello Stato”. La seconda illusione è il leaderismo come surrogato delle idee, che produce “una Repubblica di monarchie nei partiti e nella guida del governo: una deriva in antitesi con l’impianto parlamentare della Costituzione”.

La diagnosi dell’anomalia italiana è la premessa per la terapia possibile: “Esiste uno spazio politico intermedio che dovrebbe evitare di guardare indietro. Solo così potrà chiudersi il ventennio egemonizzato da Silvio Berlusconi, che ho avversato quasi in solitudine quando era al culmine del potere e gli altri gli tributavano un encomio servile mentre oggi gli si rivoltano conto in modo codardo”. Ma la nuova stagione non equivale al ritorno della Democrazia cristiana, per cui non vi sono più le condizioni storiche, Guerra fredda e Ricostruzione, ed economiche, margini enormi di spesa pubblica e di sviluppo oggi impensabili. Deve guardare “a uno Stato che perda la sua pesantezza: il socialismo municipale di multiutility locali e l’elefantiasi legislativa soprattutto regionale”. E promuovere “nuove regole sul finanziamento delle forze politiche basato sul riconoscimento giuridico della democrazia e trasparenza interna come fece Luigi Sturzo nel 1958, accettare la sfida lanciata da Beppe Grillo alla democrazia rappresentativa e associativa in nome di un regime assembleare e atomizzato, affermare la mobilità sociale che produsse il miracolo economico e l’allargamento delle basi democratiche dello Stato repubblicano”.

Le proposte per la rinascita produttiva illustrate da Clini

È un vero software di quello offerto dalla Fondazione Nuovo Millennio all’hardware della politica. E le strategie attinenti alla ripresa economica vengono illustrate da Corrado Clini. Semplificazione delle procedure per la creazione di un’impresa, 5-10 volte più lunghe rispetto alle nazioni europee: “Una rete di autorizzazioni fondate su logiche consociative e sul potere di veto”. Una lettura intelligente del Patto di stabilità capace di ancorare il Fiscal Compact allo sviluppo: “Perché il costo della non azione comporta l’aumento del debito e la diminuzione delle entrate”. L’istituzione di un credito d’imposta al posto degli incentivi a pioggia affinché le aziende attive nella frontiera delle nuove fonti energetiche e della riduzione del consumo di suolo, e nella creazione di brevetti, possano restare in Italia.

Comparto produttivo di eccellenza è senza dubbio l’agricoltura. La cui centralità, ha osservato Federico Vecchioni, deve essere riaffermata nell’agenda pubblica contemporanea come avvenuto nella stagione post-bellica. “È compito della politica parlare di priorità, quantità e qualità della produzione agricola europea e porre fine all’apertura indiscriminata delle frontiere. Che ci ha fatto perdere l’egemonia nel settore dei cereali, zucchero, tabacco, e milioni di ettari destinati a colture produttive provocando la vendita di migliaia di imprese a gruppi stranieri”. Ma per capovolgere questo trend è necessario “concepire l’agricoltura, che vale il 15,7 del PIL, in termini di tecnologie industriali, ricerca e innovazione. E orientare i 52 miliardi di risparmio agro-alimentare per creare un grande polo nazionale aperto agli investimenti internazionali”.

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