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Trise, tasse e burocrazia, ecco i peccati mortali dell’Italia

La scena è sempre la stessa, da anni, almeno 35. È dal 1978 che ci si illude di sbloccare l’economia armeggiando con un cacciavite intorno al bilancio pubblico: un po’ più di tasse di qua, un po’ meno imposte di là; un po’ di spese correnti giù ed un po’ di investimenti su. Ogni anno la stessa presa in giro.

Fatica inutile, tempo sprecato, ma tutti fanno a gara per prendere in mano il cacciavite. Sognano di averlo sempre più grande, con un manico bello grosso per fare più leva: con una ampia maggioranza si lavora meglio. La manovra deve essere colossale, gigantesca, non basta mai. Una farsa.

C’è chi addirittura, come ha fatto Mario Monti nei due anni passati, ha usato un cacciavite enorme, con la testa a croce: ha cercato di sfilare i vecchi chiodi infilandone degli altri, ancora più grossi, tutti nello stesso foro. Chiodo scaccia chiodo, dice il proverbio: ma l’economia si è inchiodata ancora di più.

Tutto inutile, anche stavolta: c’è chi chiede più coraggio, chi si dichiara deluso, mentre ancora nessuno è riuscito a fare davvero i conti in tasca su quello che ci costerà l’ennesima ridicola riforma della tassazione sugli immobili. Una riforma l’anno, con l’Imu (Imposta municipale Unica) che si è fatta miracolosamente trina: avremo la Trise.

Anche quest’anno, un folto capannello di persone, ministri, sindacalisti, confindustriali, giornalisti e professori, si è accalcato intorno al bilancio pubblico, discutendo come togliere i tanti chiodi che bloccano l’economia italiana.

Per sostenere la crescita bisogna tagliare le tasse sulla produzione ed il lavoro, affermano alcuni. Purché non si taglino le spese pubbliche, ribattono altri, perché altrimenti calano i redditi e si aggrava la recessione. Guai a toccare la sanità, poi, perché sarebbe un disastro sociale.

Hanno tutti ragione, solo all’apparenza però: difendono interessi di potere. E più fanno comparazioni statistiche con gli altri Stati europei, e meno ci fanno capire perché abbiamo una spesa pubblica elevata, tasse insopportabili e così scarsa efficienza.

La risposta è semplice: dispersione. Immaginate come potrebbe funzionare una azienda automobilistica se, anziché avere poche fabbriche, un certo numero di modelli e componenti testati, si affidasse alla buona volontà di migliaia di ingegneri: tutti che progettano, realizzano, acquistano a loro piacimento, in centinaia e centinaia di capannoni. Oppure una azienda di trasporto aereo, che ogni mese cambia aerei, rotte, orari, prezzi, aeroporti di imbarco.

Fallirebbero, senza dubbio. Sarebbero tutti scontenti, dal primo automobilista all’ultimo viaggiatore. Riparare un’automobile sarebbe costosissimo, perché nessuno avrebbe lo schema elettrico né saprebbe dove trovare il pezzo di ricambio: una situazione manicomiale. Chi andasse in aeroporto si accorgerebbe che il volo è stato soppresso da un decreto nella notte, o da una delibera di cui nessuno sa ancora nulla: rimarrebbe a terra, irrimediabilmente. E la colpa non sarebbe di nessuno: né degli operai della fabbrica di auto, né dei piloti dell’azienda di trasporto aereo: sono impiegati in un processo inefficiente, irrimediabilmente ottuso. Inutile prendersela con l’elettrauto o con l’impiegato del check-in.

Il Governo in carica continua a cercare di aggiustare un sistema sbagliato, ma ne aggrava i difetti: basta vedere come funzioneranno le nuove imposte immobiliari, visto che ogni comune si dovrà dare un regolamento ad hoc, stabilendo chi e come esentare ed in che modo. Non ha la forza di decidere secondo equità, né sa fissare un tetto di spesa pro capite ai comuni. Località di vacanza, disabitate quasi tutto l’anno, saranno piene di soldi solo perché ci sono innumerevoli seconde case.

Inutile confrontare i numeri delle finanze pubbliche europee e mondiali, i totali delle imposte e delle spese, che si tratti di quelle immobiliari o di quelle sanitarie e per l’istruzione: la realtà è granulare, organizzativa e funzionale. Con i maestri elementari che si sono moltiplicati in una stessa classe, le sedi universitarie distaccate ed i corsi moltiplicati all’infinito, i porticcioli dove dondolano mollemente motovedette dalle livree più varie, dal bluerosso, al biancoceleste, al verdeoliva al biancocandido, al rossofiamma. E magari qualcuna color grigio, orizzonte-perduto.

Bisogna riorganizzare completamente il sistema amministrativo italiano, disseminato da milioni di chiodi: ciascuno rappresenta un potere, grande o piccolo, centrale o locale, politico o amministrativo, da esercitare a piacimento. Destra e sinistra, hanno fatto a gara per accaparrarselo e per moltiplicarlo.

Il resto sono balle, consolatorie. Per chi illude i cittadini che basta un cacciavite per togliere i chiodi: fanno solo finta, e lo sanno bene.

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