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Larghe intese tedesche, la Cdu di Merkel si prepara a governare

Dopo oltre un mese a Berlino non si è ancora insediato il nuovo esecutivo. Ma fanno le cose seriamente loro! Cdu-Csu e Spd si prendono il tempo che serve per negoziare sia l’agenda del governo, sia ogni singola decisione, punto per punto poiché sanno che insieme dovranno governare e soprattutto vorranno governare. Non sono mica come noi che addirittura ci permettiamo di autoironizzarci oggi sui nostri disastri a Parigi e di fronte ad un Hollande fortemente tenuto in equilibrio con gli elastici dalla Cancelliera Anghela.

I tedeschi stanno addirittura predisponendo gli articolati di legge così quando si presenteranno ai loro diversi elettori, dimostreranno, ancora una volta, di essere credibili e granitici. Le loro vere e nuove larghe intese si vanno componendo attorno a un programma di sviluppo, che somma l’esigenza democristiana di continuare a tagliare la spesa pubblica che non funziona, con quella socialdemocratica di spendere di più per il sostegno ai salari, anche introducendo quello minimo. La formula politica è vincente: usare il ritorno dell’Spd per porre rimedio agli scompensi indotti dalle (giuste) riforme che Cdu-Csu fecero, con l’obiettivo condiviso di continuare ad accrescere il vantaggio competitivo del sistema produttivo tedesco.

E poi i loro democristiani non sono micca come i nostri. Scopriamo dunque le carte dei vecchi scudocrociati nostrani che oggi sono senza partito ma si sono infilati in tutti i partiti di destra, di centro, di sinistra e occupano posti di prestigio e di potere. Sappiamo bene che i “nostrani” se rifacessero la Dc dovrebbero, prima o dopo, contare i voti. Troppo difficile. Gli italiani normali non campano da ricchi senza mai avere lavorato, e non trovano divertente consegnare la gran parte del loro reddito allo Stato. A questi stessi italiani si racconta che le tasse diminuiscono, senza presentare neanche il testo di legge. Cosa diminuisce? Dove? Che stanno dicendo? Hanno appena alzato di un punto l’Iva! E speriamo che per barcamenarsi non pensino di usare le dismissioni, come già hanno fatto con la “manovrina”, al fine di coprire spese correnti anziché dare una boccata sistematica allo sviluppo delle imprese e alla vita della gente in carne ed ossa che cerca lavoro. Nessuna li creda così ingenui da volere prendere il posto dei capi, da volere rifare il loro comune partito. Sono furbi e sanno di avere già il comando e soprattutto sanno che alle elezioni dovranno pur trovare il modo di riproporsi, ma il 2015 è oltre la linea dell’orizzonte.

E allora il nostro paradosso italiano dove il governo a furia di traccheggiare sembra che non ci sia, mentre a Berlino il governo non c’è ma sembra che già ci sia è talmente clamorosamente evidente che c’è ben poco da ridere. Così nel nostro bel Paese in ottobre è calato l’indice che misura la fiducia dei consumatori, scardinando ciò in cui in molti avevamo puntato nei mesi scorsi e cioè la diffusa convinzione che la recessione volgesse al termine e che fossero davvero balenati spiragli di luce. La crisi politica che si era aperta dopo le elezioni di febbraio che abbiamo vissuto con la complicazione istituzionale della successione al Quirinale, ora è ancora evidentemente in corso e la tenue speranza aggrappata ai dati del fatturato e ordinativi delle imprese se pur con solo qualche decimale, ma pur sempre positivi affiancati dai dati sulla disoccupazione che Istat ci spara inesorabile , ci ricaccia nella disperazione. Al declino economico fa da sfondo un sistema politico e istituzionale, ma più in generale, una classe dirigente diffusa, che non è in grado di dare dei segnali di saper fare . Il governo è suo malgrado prigioniero delle lotte che si stanno consumando dentro Pd e Pdl, il Quirinale, dove si è spostata la quota sempre più residua di potere che in Italia rimane, è bersaglio di irresponsabili attacchi. Il Parlamento, popolato di parecchi poco onorevoli è privo di ogni funzione. I media, insieme causa ed effetto della decadenza del Paese, vivono una crisi che si sta già rivelando senza ritorno. Mentre imprenditori e lavoratori, che rappresentano ancora la parte più sana e più viva del Paese, hanno rappresentanze sociali che sono prigioniere dei vecchi rituali, come dimostra lo sciopero indetto dai sindacati contro una legge di stabilità che ancora non sappiamo come uscirà dal Parlamento.

Noi siamo in grande sintonia con il saggio e lungimirante economista Mario Deaglio: dopo la “legge di stabilità” ci vorrebbe una “legge di rilancio”. Ma basterà l’ancora internazionale della Merkel europeista e degli Usa amici dell’Italia da sempre? Si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre che la Merkel, non appena avrà formato il suo governo di grosse koalition, conceda a Roma qualcosa di più di uno spread clemente. Allora Letta prenda il coraggio a due mani e ne approfitti: allora o mai più .

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