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Vi spiego perché il Datagate è una fiera dell’ipocrisia

Il Datagate? Una grande fiera dell’ipocrisia secondo Christian Rocca – giornalista, già inviato del Foglio e direttore di IL, il mensile del Sole 24 Ore – che in una conversazione con Formiche.net spiega perché siamo di fronte a “una bolla di sapone”.

Rocca, che cosa pensa del Datagate?
Ci ha fatto scoprire una cosa che non avremmo mai immaginato. Le spie spiano. A parte la facile ironia del caso, sicuramente non è carino farlo sapere, non è bello tenere sotto controllo i capi di Stato e di Governo, ma c’è differenza tra intercettazioni e la raccolta di dati. E bisogna ricordare che questo specifico programma di spionaggio dell’Nsa non ha come obiettivo il gossip o il dossieraggio, come sostengono alcuni in queste ore. È nato in un momento particolare, quando gli Stati Uniti, dopo essere stati attaccati sul proprio territorio l’11 settembre del 2001, sentivano l’esigenza di prevenire minacce future, ed evitare che si ripetessero stragi. Che sia un’azione di difesa nazionale lo testimoniano molti aspetti.

Quali?
Nel 2005 due importanti giornalisti del New York Times hanno vinto un premio Pulitzer per aver svelato che l’Nsa aveva un programma di intercettazione globale, anche di cittadini americani, nato per volontà dell’Amministrazione di George W. Bush dopo il crollo delle Twin Towers. Non è cambiato assolutamente nulla da allora.

Allora perché tanto clamore?
Il Nyt – una testata non proprio vicina al mondo repubblicano – tenne nel cassetto per un anno lo scoop, come fanno i giornalisti seri che non sono mossi da ideologie, ma che svolgono un lavoro serio e rigoroso. Percependo la portata della notizia, si confrontarono prima con la Casa Bianca, che ebbe modo di prendere le necessarie contromisure perché non fosse messa a repentaglio la sicurezza nazionale. Solo dopo la vicenda è stata resa nota.
Oggi invece siamo in situazione in cui abbiamo a che fare con degli anarchici (o libertari, o nichilisti, a seconda delle proprie idee) che, entrati in possesso di informazioni delicatissime, le hanno scaricate in rete. Ma selezionandole in modo accurato, dal momento che anche altre nazioni spiano, ma le notizie pubblicate riguardano solo gli Usa e mai i suoi avversari, come Russia e Cina.

Crede che siano al soldo di altri Paesi?
Sicuramente esiste una rete di contro-spionaggio, ma non credo che ne facciano parte. Personaggi come Julian Assange (Wikileaks) e Glenn Greenwald (ex reporter del Guardian e custode dei file trafugati dalla Nsa), con modi, storie e attività diverse, sono semplicemente dei militanti anti-governo Usa, quelli che un tempo venivano definiti “contro l’imperialismo americano”. In particolare Greenwald lo leggo da dieci anni. Per lui non c’è alcuna differenza tra Bush e Obama. Ha criticato gli eccessi di entrambi senza nessuno sconto o pregiudizio positivo né a sinistra né a destra. Anche servendosi di Bradley (ora Chelsea) Manning e Edward Snowden, che invece in quel mondo c’erano con entrambi i piedi.

Come giudica il comportamento dei Paesi europei nella vicenda?
Ipocrita, sicuramente. Tanto più che non regge nemmeno in toto l’idea secondo cui sarebbe disdicevole spiare i propri alleati. Certo non è il massimo. Ma ricordo che due delle tre prove decisive che sono state utilizzate a favore di un intervento americano in Iraq e che provavano l’esistenza delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein – che poi non furono trovate – non provennero dai servizi Usa, ma da quelli francese e tedesco. Gli americani il sospetto di aver ricevuto una polpetta avvelenata lo hanno avuto e credo che a questo punto non si fidino proprio ciecamente.

E come ha agito Obama?
In modo altrettanto ipocrita. Conoscendo la macchina burocratica americana può anche darsi che non fosse a conoscenza di ogni dettaglio, ma sapeva del programma dell’Nsa, non fosse altro perché è stato reso pubblico nel 2005. E poi dire di non sapere, per un presidente, che è anche Comandante in capo delle Forze armate, è ancora peggio. La verità è che in America non c’è tutto questo clamore, la stampa parla pochissimo del Datagate. Obama doveva sì scusarsi pubblicamente, come in parte ha fatto, ma rivendicare l’importanza del programma di sorveglianza e spiegare che serve a proteggere gli Usa e i suoi alleati. Altrimenti non si capisce perché non l’abbia interrotto, visto che aveva e ha il potere di farlo.

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