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Ecco quando finirà (forse) la crisi italiana

La situazione italiana appare una maionese impazzita: e in questi casi come l’esperto culinario lascia il campo al chimico, anche l’analista politico dovrebbe ritirarsi e affidarsi a psicologi e antropologi per capire quel che avviene. Ahimé il vizio di razionalità prevale però su quel che suggerisce il buon senso. Ma per far luce in una situazione di caos sarà necessario da una parte prenderla un po’ alla lontana dall’altra avanzare ipotesi che talvolta possono apparire esagerate.

Le cause della crisi italiana

La prima considerazione è che l’ultima crisi italiana è stata determinata in ultima istanza da influenze internazionali: alla fine del 2009 mentre si stava infiammando il Nord Africa e la crisi economica apertasi nel 2008 non aveva ancora risposte convincenti, soprattutto d’intesa tra Berlino e Washington, si è accelerata la destabilizzazione di uno Stato come quello italiano che per peso economico e funzione geopolitica ha un ruolo rilevante. Al fondo il movimento è stato teso, in una situazione di incertezza (cresciuta con l‘esplosione del cosiddetto debito sovrano a partire dalla Grecia) a semplificare la governance globale ridimensionando un soggetto in grado di esercitare taluni incontrollabili effetti.

Gli errori della politica

Questo è il senso dell’emarginazione precedente di una serie di personalità dalle spiccate qualità patriottiche (dal Mario Mori a Niccolò Pollari, da Guido Bertolaso a Pier Franco Guarguaglini e così via) e della spinta verso governi che hanno avuto la loro base essenzialmente nella legittimazione internazionale con una convergenza tra tedeschi e americani: così quelli di Mario Monti ed Enrico Letta. Una guida dall’alto della Repubblica senza adeguate radici politico-sociali. E con l’intento chiaro di rimuovere Silvio Berlusconi dalla scena politica. Non di superarlo, perché in questo caso Monti avrebbe fatto scelte per unificare il centrodestra e Lettino a favore della pacificazione. Con ciò consentendo un ordinato ritiro del leader del centrodestra senza disperdere quel segmento di energie nazionali che ha rappresentato in questi anni.

Governo Letta: la crisi finale

Oggi il governo “dall’alto” attraversa la crisi finale. Tutti i ministri napolitiani sono allo sbando: Emma Bonino (voluta dal Quirinale al posto del ben più capace Massimo D’Alema) appare come il peggior ministro degli Esteri del ventennio, un risultato difficile visto che alla Farnesina c’era stato Gianfranco Fini. Fabrizio Saccomanni fa ridere ormai tutta Europa non più solo l’Italia. Anna Maria Cancellieri, donna di qualità e valore, è stata destabilizzata: pensatela per esempio a preparare una legge sulle intercettazioni. Quella schifezzuola di manovra sulla stabilità, poi, è sostanzialmente ininfluente: l’Italia può avviare una ripresa solo se l’Europa abbandona la linea dell’iperausterità come dicono ormai persino Giorgio Squinzi e Mediobanca. Dunque le schifezzuole servono a poco senza una nuova sovranità nazionale che può esserci solo con una vera sovranità popolare che può esserci solo con una vera pacificazione, l’unica che consenta riforme costituenti dello Stato a partire dalla giustizia. La linea quirinalesca del pilotare dall’alto è arrivata al capolinea sia perché americani e tedeschi marciano su due direttive diverse (e così i loro “partiti” italiani) sia perché la protesta popolare – almeno finché si manterrà il suffragio universale – diverrà incomprimibile.
Anche se non si andrà a votare a marzo – come credo e alla fine spero – poi il 25 maggio il voto “europeo” (quando i residui partiti di una eventuale maggioranza di governativa potrebbero tutti insieme raggiungere il 40 per cento) spazzerà via tutto perché tra gli esponenti del ceto politico che hanno tenuto in piedi il governo Letta si creeranno spaventosi vuoti da parte di coloro che capiranno di non potere essere più eletti neanche in un comitato di quartiere. Questo scenario di disgregazione generale mi pare abbastanza chiaro anche considerando come certi giochi di potere continentale lo alimentino pure in nazioni come la Gran Bretagna e la Spagna (vedi referendum scozzesi e catalani del settembre 2014). Non mi è affatto chiaro invece come si possa rimediare a questa maionese impazzita.

Alternative politiche inesistenti

Non posso non considerare come molto primitive le reazioni del fronte berlusconiano, di cui pur comprendo le fondamenta: primum vivere, deinde philosophari. Ma nella situazione in cui ci troviamo se non si esprime anche una visione generale non si fa che aggiungere disgregazione a disgregazione. Mi pare, poi, come già scritto, che i tentativi “dall’alto” sia per superba astrattezza intellettuale sia per concreta pavidità rappresentino solo macerie inutilizzabili. Mi colpiscono le posizioni di persone pure di qualità che – credo per risentimenti – incorrono nel più grave dei rischi politici, quello del ridicolo. Così chi descrive con intelligenza il ruolo della politica estera berlusconiana per concludere che adesso va buttato via per sostituirlo a un perfetto allineamento all’egemonia tedesca via Partito popolare europeo. In questo è assai più coerente Mario Mauro che almeno propone una critica radicale al berlusconismo e un allineamento dichiarato all’egemonismo tedesco, senza velleità di ruoli autonomi. Altrettanto mi hanno colpito le disperate posizioni di chi dichiara che ci vuole più democrazia nel Pdl-Forza Italia ma che non accetta il principio di maggioranza né nei gruppi parlamentari né in presidenza né nel consiglio nazionale né in un eventuale congresso. Che Berlusconi resta il leader (è quello che porta la stragrande maggioranza dei voti dice Angelino Alfano) ma quando deve “lead” cioè guidare lo abbandona. Che il tentativo di eliminare dalla politica per via giudiziaria Berlusconi è un attentato alla democrazia ma se per contestarlo si corre il rischio di far cadere quella schifezzuola del governo Lettino, si va verso una crisi di sistema (cioè di un sistema che elimina il leader di una delle due grandi forze del Paese per via giudiziaria).

Come uscire dal berlusconismo?

In politica si possono fare le cose più feroci. Alla fine Pietro Badoglio fece un grande servizio all’Italia liberandola da Benito Mussolini ma per portare a termine il suo compito si assunse precise responsabilità. Distruggere Berlusconi dicendo che si vuol salvare l’onore del berlusconismo ricorda solo figure minori della recente scena italiana giustamente finite nella pattumiera della storia.
Constatato che la nostra maionese nazionale è impazzita, c’è qualche patata da buttarle dentro per salvarla? Si tratterebbe di dividere i voti grillini, cercando di assorbire la protesta dei ceti produttivi separandola da quella diciannovista-sessantottesca. Si tratterebbe di capire se lo sviluppismo american-isipirato di Matteo Renzi può darsi anche un’anima nazionale o per la sua fragilità culturale rimarrà solo un fenomeno diviso tra sterile movimentismo e feconda etero-direzione. Se la Cdu-Csu tedesca (con i suoi amichetti italiani) si renderà conto che disgregando l’Italia alla fine aumenterà le sue difficoltà. Se le più recenti mosse di Romano Prodi, ispirate anche da interessanti ambienti cattolici e meno interessanti ambienti bancari, possano aprire un nuovo percorso alla vera pacificazione di cui ha bisogno il Paese e su cui Giorgio Napolitano ha con evidenza fallito.

E il tutto naturalmente richiederebbe anche che Berlusconi facesse un saltino sulla luna e recuperasse il pezzettino di ragione che ha perso.

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