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Austerità e corruzione

La crisi che attanaglia l’Italia e il mondo globalizzato è prima di tutto una crisi etica, una crisi valoriale e di principi condivisi. Chi continua a richiedere austerità, afferma in silenzio, che non si fida. Non si fida di un Paese che per troppo tempo ha vissuto al di sopra delle sue possibilità e che ha fatto poco o nulla per eliminare le sacche di inefficienza e corruzione. Noi più di altri siamo diventati, nuovamente, l’uomo vecchio, sopraffatto da un’eclissi di senso che rende la rinascita lontana e inafferrabile. La scorciatoia del breve periodo, contrapposto alla “capacità di progettare dell’uomo europeo” non solo rende la crisi più profonda e diffusa, ma sottrae alla Persona, la capacità di percezione del proprio universo e del posto che vi occupa. Un progresso etico morale, un “progresso verso la realizzazione di una società umana e civile, verso uno Stato di diritto giusto” ed inclusivo e verso una unione di tutti gli “Stati di diritto al fine di mantenere la pace”, resta condizione necessaria ma non più sufficiente. È necessario che tutti gli stati europei facciano sul serio la loro parte: non ha molto senso far incetta di paragoni fra performance e bilanci. Senza consapevolezza e giustizia non si governa e non si implementa la pace e il progresso.
La crisi economico finanziaria è una nuova forma di mancanza di pace, una guerra che produce macerie invisibili ma diffuse, e che ci costringe a soffermarci sul fallimento dello stato. Il “compito morale” non può essere di breve periodo, non può essere subordinato a umori e vagheggiamenti di uomini inconsapevoli. Non c’è posto per la stanchezza della volontà o per la sfiducia, e non c’è posto per la mancanza di tensione nel vivere che esiste fra “la città di Dio e la città degli uomini”. È necessario eliminare la “stanchezza della lucidità e dell’amore per l’impossibile” accettando, nella condivisione di valori e di principi di una governance illuminata, la condizione del “comune fallimento”, che rendendoci veramente persone, ci ridona il gusto della giustizia e il ritorno al senso della relazione.
Il dovere della responsabilità è “direttamente proporzionale all’autocoscienza umana”. E per questo è necessario eliminare ogni sorta di ineguaglianza derivante dalla corruzione e dalla clientela, che non sarà mai un servizio alla giustizia, quanto una disaffezione della verità.
Nella Deus Caritas Est, il Papa Emerito Benedetto XVI, scriveva: “Per definire più accuratamente la relazione tra il necessario impegno per la giustizia e il servizio della carità, occorre prendere nota di fondamentali situazioni di fatto. Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri (…). La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile”.
Bisogna sforzarsi di praticare l’austerità nella corruzione e nella clientela, in questo modo, riusciremo a rispondere a chi non si fida, che abbiamo fatto più di tanti altri nel processo di eliminazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie.

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