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L’attivismo estero di Hollande è segno di debolezza

In un articolo pubblicato oggi sulle pagine degli Esteri del Corriere della sera a firma di Stefano Montefiori, si rimarca l’atteggiamento “guerrafondaio” che sembra contraddistinguere la politica francese negli ultimi anni. Ma chi pensa che “i falchi della politica internazionale non volino più a Washington, ma a Parigi, fa un ragionamento ingenuo“, dice Jean-Pierre Darnis, responsabile di ricerca dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) e professore associato all’Università di Nizza, che in un’intervista con Formiche.net spiega perché crede che dietro al protagonismo internazionale della Francia si nasconda una profonda debolezza.

È la Francia il nuovo nemico dell’Occidente?
È ingenuo pensare che un Paese piccolo come la Francia possa avere questo primato. La Francia attraversa un momento di grande crisi interna. Lo scontento verso il governo di François Hollande è molto forte. Nel contesto europeo la Francia è anche debole; non riesce ad imporsi nei confronti della Germania. Il protagonismo internazionale della Francia è un segno di grande debolezza, di erosione relativa del potere.

Ma con il vuoto lasciato in parte di Medio Oriente e Africa dagli Stati Uniti, la Francia può avere un ruolo più determinante?
Con l’intervento in Mali nel 2012 la Francia ha riacquistato una caratteristica che fa parte dell’identità francese. Gli Stati Uniti sono in una fase di ripiegamento, sembrano concentrarsi su altri scenari come l’Asia, sono scottati dall’Afghanistan e l’Iraq e hanno problemi con i droni e la lotta al terrorismo. La Francia ha rafforzato la sua politica internazionale, ma non riesce a diventare una vera potenza europea. Non ha i droni e la capacità statunitense. Ha una forza dialettica, non militare.

Quanto è pesata la posizione francese nel caso della Siria? Hollande era pronto all’intervento quando Barack Obama ha deciso di fermarsi.
La Francia ha dimostrato di seguire una linea autonoma, coerente con i diritti dell’uomo, e con le proprie relazioni dirette con le potenze arabe. Era pronta all’intervento in Siria, per le ragioni che ho spiegato nell’articolo “Interventismi a confronto” pubblicato su Affari Internazionali. La Francia, da sola, non ha la forza di intervenire in Siria.

E qual è il ruolo francese nei negoziati sul nucleare in Iran?
La posizione francese a Ginevra può sembrare schizzinosa, di che cerca di mettersi di traverso per avere maggiore potere nei negoziati. Ma la Francia va avanti con la sua visione autonoma. Sono tutti segni di debolezza, della crisi francese. Si tratta soltanto di un palcoscenico diplomatico multilaterale.

In Africa continua ad essere il Mali il paese più influente?
La politica africana è post-coloniale. In quella regione la Francia ha maggiori conoscenze. E in questo Hollande è riuscito a fare la differenza rispetto a Nicolas Sarkozy e Jacques Chirac e si è allontanato dalle pratiche affaristiche per normalizzare i rapporti. In Mali, anche se con sofferenza, la Francia è intervenuta. Non voleva ma lo ha fatto, per una questione di sicurezza e stabilità. Lo ha fatto da sola, visto che la Germania e l’Italia, per motivi politici e costituzionali, non potevano farlo. Militarmente è stata un’operazione positiva, che ha dimostrato le capacità della Francia per essere un provider di sicurezza in Africa e Medio Oriente, una cosa che conviene anche agli Stati Uniti. La politica africana francese è condotta meglio, perché alle parole seguono i fatti. In Siria non lo ha fatto perché non ci sarebbe riuscita da sola.

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