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Ecco perché lo spettro della deflazione incombe sull’Italia

Pubblichiamo l’articolo di Marcello Bussi uscito sul quotidiano MF/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

«Al momento non vediamo deflazione nell’area euro». Lo ha dichiarato ieri all’Europarlamento il presidente della Bce, Mario Draghi, assicurando che «la nostra situazione è diversa da quella del Giappone negli anni 90 e inizio 2000». Quasi nello stesso momento, però, a Roma l’Istat diffondeva il dato sull’indice dei prezzi al consumo di novembre, che dimostra come in Italia il rischio deflazione sia concreto: il calo è infatti stato dello 0,3% rispetto a ottobre, mentre su base annua l’indice è salito allo 0,7%, in frenata dallo 0,8% del mese precedente.

UNA RIPRESA DIFFICILE

Standard & Poor’s, intanto, evidenziava che la ripresa dell’Europa sarà difficile e la frenata del tasso di inflazione registrata a ottobre scorso alimenta lo «spettro di una possibile caduta in deflazione in alcuni dei Paesi più deboli dell’Eurozona». Tra questi ultimi si può senz’altro annoverare l’Italia. Non a caso, sempre ieri il rapporto Outlook Winter 2013 di Ernst & Young ha sottolineato che «se la domanda esterna non accelererà nel 2014, l’Italia potrebbe vivere un altro anno di recessione». D’altronde Ernst & Young prevede per l’Italia una crescita del pil dello 0,2% nel 2014, mentre Standard & Poor’s la stima allo 0,4%. Un incremento talmente fiacco che basterebbe davvero poco per trasformare il segno più in segno meno.

IL CASO ITALIANO

Come ha osservato Riccardo Paternò, presidente di Ernst & Young Business School, «il combinato disposto di una scarsa capacità di acciuffare la piccola ripresa internazionale e l’implosione della domanda interna condiziona in modo molto preoccupante» l’economia italiana. Ieri è arrivato anche il dato sulla produzione industriale in Eurolandia, diminuita a ottobre dell’1,1% rispetto a settembre, segnando il secondo calo mensile consecutivo, il più forte dal settembre 2012. Il dato è stato particolarmente deludente, visto che le attese erano per un aumento dello 0,2%. Il tutto segnala il rischio che nel quarto trimestre il pil di Eurolandia torni a contrarsi dopo il misero +0,1% registrato nel terzo. Certo, l’Italia è stata uno dei pochi Paesi dell’area euro a registrare un aumento della produzione industriale (+0,5%), ma i cali accusati da Germania (-1,2%) e Francia (-0,3%) non sono di buon auspicio per un Paese che affida esclusivamente alle esportazioni le sue speranze di uscire finalmente dalla recessione. Recessione in cui rischia di ricadere la Spagna, dove la produzione industriale è diminuita dello 0,8%, per non parlare del clamoroso crollo accusato dall’Irlanda (-11,6%), peraltro additata come allievo modello in quanto appena uscita dalla cura della Troika.

RAPPORTO BCE

Come se non bastasse, secondo il rapporto mensile della Bce «nel 2014 e nel 2015 il pil dovrebbe registrare un lento recupero» nell’area euro: l’anno prossimo la crescita economica è infatti stimata all’1,1%, in quello successivo all’1,5%. Per quanto riguarda l’Italia, però, la Bce, ha sottolineato che il risanamento strutturale pianificato nel progetto di documento programmatico di bilancio dell’Italia per il 2014, pari solo allo 0,1% del pil, è inferiore a quanto richiesto dall’Ue. Pertanto Roma ha bisogno di misure aggiuntive di riequilibrio dell’ordine dello 0,4% del pil per assicurare la conformità al Patto di Stabilità.

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