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Con un piano di Bush (e Obama) la Cia ha aiutato la Colombia a combattere le Farc

Sarebbero circa 25 i leader delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) uccisi dall’esercito governativo colombiano con l’aiuto di operazioni sotto copertura della Cia. Lo ha reso noto il Washington Post con un un’inchiesta pubblicata domenica 22 dicembre (“Covert action in Columbia” il titolo), basata sulle rivelazioni di agenti dell’intelligence e fonti militari di entrambi i governi.

Non si tratterebbe del noto “Plan Colombia”, avviato nel 2000, che mette a bilancio 9 miliardi di dollari, ma di un’insieme di operazioni sotto copertura condotte attraverso fondi che il giornale definisce «in nero» e di cui tutti gli intervistati hanno accettato di parlare solo preservando il proprio anonimato – dato che il piano sarebbe classificato e ancora in corso. Il motivo per cui sarebbe sfuggita finora all’attenzione pubblica, è perché l’operazione rientra tra quelle dell’intelligence classificate post 11 settembre.

Tutto è cominciato negli anni successivi al 1998, quando il presidente Andres Pastrana concesse la gestione ai ribelli delle Farc – la cui azione cominciò nel 1964, come movimento contadino marxista, per la rivendicazione delle terre e dei diritti dei più poveri – di un’area del doppio delle dimensioni della Svizzera, demilitarizzata. Lo scopo era favorire i negoziati di pace, ma invece i ribelli risposero con un aumento degli attacchi a cui si unì lo stabilizzarsi e il rafforzarsi dei legami con il traffico di stupefacenti (principale fonte di finanziamento dell’organizzazione). Un paio di anni dopo, un’insurrezione di quasi venti mila persone – mosse dalle Farc – portò allo sprigionarsi di una vera e propria caccia contro i leader politici, che – passando per gli assassinii di diversi rappresentanti locali – culminò con il rapimento del front runner presidenziale Alvaro Uribe (successivamente eletto).

A quel punto gli Stati Uniti, con il sostegno del pugno duro di Uribe, non potevano più permettersi la scomoda situazione, anche per le dimensioni sempre più importanti che andava assumendo. Il “Plan Colmbia” varato da Bush, trovò rapida applicazione in due aspetti – che costituivano condizioni di possibilità d’intervento -: il problema del terrorismo e il traffico di stupefacenti.

L’impegno statunitense sul campo, raggiunse il picco massimo intorno al 2003, con 4500 persone impegnate – l’ambasciata di Bogotà, era a quei tempi la più grande del mondo, successivamente superata soltanto da quella in Afghanistan.

La situazione prese un’ulteriore spinta dopo che nel febbraio 2003 un Cessna 208 precipitò nella giungla controllata dai ribelli: i guerriglieri uccisero il pilota e uno dei passeggeri, rapendone altri tre. Si trattava di contractors Cia, che stavano lavorando per l’eradicazione del traffico di coca.

In quel periodo, fu creato il “Bunker”, struttura interrata nella sede dell’ambasciata americano, in cui otto persone dell’Nsa operavano ad analisi e decodifica dei dati intercettati. E sempre nello stesso periodo fu predisposto l’intervento sul campo del Joint Special Operations Command (Jsoc), unità che gestisce tutte le forze speciali dell’esercito, della marina e dell’aviazione americana, specializzata nelle operazioni segrete.

Ma nonostante i grossi sforzi economici – la Colombia in quegli anni era il terzo paese straniero (dopo Israele e Egitto) per dimensione del budget degli investimenti militari – i risultati stentarono ad arrivare.La Cia non interveniva direttamente in missione, la lotta ai ribelli da parte dell’esercito colombiano era poco proficua, gli ostaggi non vennero ritrovati, le irruzioni nei rifugi nella giungla dei corpi speciali calombiani venivano costantemente anticipate. Fu così che le operazioni cambiarono missioni: si passò a un approccio simile a quello utilizzato – e conosciuto – con al Qaeda, e cioè si puntò all’eliminazione dei leader.

Da qui partirono due tipologie di operazioni sotto copertura (permesse da Bush e confermate da Obama), secondo quello rivelato dal WaPo: da una parte il supporto d’intelligence e delle relative tecnologie, con il Jsoc impegnato periodicamente in corsi di formazione per le truppe speciali colombiane e presente in alcune fasi con squadre di Navy Seals (tra cui anche elementi del leggendario “Team Six”, che uccise Osama Bin Laden) pronte all’intervento sul campo. Dall’altro la fornitura di un sistema Gps – Paveway, dal costo di 30 mila dollari – in grado di trasformare le bombe aeree a gravità Mk 82 in bombe intelligenti (Mgp). Inizialmente ci furono problemi per l’applicazione del Paveway ai brasiliani A-29 Super Tucanos in dotazione ai colombiani, ma poi la questione fu risolta utilizzando Cessna A-37 Dragonflys, velivoli sviluppati dagli stessi americani durante la guerra in Vietnam.

A questo punto il Legal Counsel della Casa Bianca, affrontò gli aspetti giuridici, anche in questo caso sfruttando l’esperienza con al Qaeda. Si considerò cioè, che uccidere i leader delle Farc non poteva essere considerato assassinio, partendo dal presupposto che l’organizzazione rappresenta una continua minaccia per la Colombia e che nessuno dei soggetti sarebbe stato intenzionato ad arrendersi. Aspetto legale, che abbinato al nuovo sistema di bombardamenti, permise l’uso delle Mgp per colpire anche singoli elementi considerati di spicco nell’organizzazione. Nel 2008 fu autorizzato tacitamente un raid aereo addirittura in Ecuador, che portò all’uccisione di Raul Reyes, considerato il numero 2 del movimento – vicenda che innescò un’importante crisi diplomatica con Venezuela, Nicaragua e ovviamente Ecuador.

Il controllo crittografico dei Gps, fu mantenuto sotto la gestione della Cia fino al 2010, quando, come segnale di fiducia, gli Stati Uniti consegnarono le chiavi di lettura all’esercito colombiano.

Attualmente le Farc continuano a colpire: il 7 dicembre un’autobomba in una stazione della polizia rurale, ha ucciso sei poliziotti e due civili. Tuttavia quella che era la più grande organizzazione di lotta armata marxista-leninista del mondo, non conta più grandi numeri, è stanca e senza vigore – lo testimonierebbe il ritorno a una strategia hit-and-run usando cecchini ed esplosivi. Cosicché il governo dell’attuale presidente Santos, ha approfittato della momentanea debolezza, per avviare dei negoziati con i ribelli – che il 15 dicembre si sono detti disposti a 30 giorni di tregua.

Secondo Santos si tratterebbe della «ciliegina sulla torta» dell’ottimo successo degli anni di campagna militare. I negoziati però, non sono stati accolti positivamente dal predecessore (ed ex alleato) Uribe, che vorrebbe continuare con il pugno duro, e ha per questo scaricato Santos, formando un nuovo partito in corsa per le elezioni. Si voterà il prossimo 25 maggio, e di nuovo, dopo 50 anni, la questione Farc sarà al centro del dibattito.

 

 

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