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Perché Eni ed Enel incalzano Bruxelles sulla politica energetica Ue

Ripensare la politica energetica comunitaria circa gli obiettivi europei del «20-20-20» per non perdere ulteriore terreno nei confronti degli Stati Uniti, nella consapevolezza che dinanzi al complessivo vantaggio competitivo che lo shale ha dato agli Usa, occorre una sterzata comunitaria: decisa ed efficace. Questa la richiesta di Eni ed Enel, che sollecitano l’Unione a rivedere “tutte le policy e le strategie perché l’energia è la benzina della competitività”, parafrasando il presidente di Eni, Giuseppe Recchi, così come riportato sul Sole 24 Ore di oggi. L’occasione è stato il meeting annuale del Council for the United States and Italy che si è svolto a Washington, un momento di confronto ma soprattutto di proposta su una tematica che coinvolge l’intero universo dei rapporti al di qua e al di là dell’Atlantico.

IL NODO
L’Europa necessita di soluzioni comuni e all’avanguardia, per non farsi trovare impreparata nel caso in cui la forbice dei prezzi energetici possa subire un ulteriore allargamento, non solo a vantaggio degli Usa ma anche, in maniera non diretta, al bacino asiatico. E’ questo il motivo che suscita non poca preoccupazione tra i colossi italiani, convinti che sia giunto improrogabilmente il momento di dare vita a un vero e proprio mercato comunitario continentale per quanto concerne l’energia.

LE CRITICITA’
Secondo Paolo Andrea Colombo, presidente di Enel, l’Unione Europea aveva individuato il 2014 come l’anno per la creazione del mercato unico dell’energia, ma, riflette dalle colonne del Sole 24 Ore “ho la sensazione che non siamo in condizione di rispettare questo termine, anche se molto è stato fatto in termini di regolamentazione, è anche vero che i singoli Paesi devono fare uno sforzo maggiore per recepire questi indirizzi e contribuire concretamente alla realizzazione di un mercato unico europeo”.

20-20-20
Il riferimento è al cosiddetto obiettivo del 20-20-20, un pacchetto presentato nel 2008 dalla Commissione Europea, al cui interno era contenuta la previsione che entro il 2020 gli Stati membri si impegnavano ufficialmente a toccare quota 20% di rinnovabili nel totale dei consumi energetici. E al contempo provvedendo a tagliare di almeno il 20% le emissioni di gas serra.

QUI ATLANTICO
Ma gli Stati Uniti non hanno perso tempo e da un lustro hanno avviato una peculiare politica energetica che li ha portati a far calare costantemente la dipendenza dalle importazioni, in virtù di una spinta data proprio alla produzione interna di gas e petrolio non convenzionali, ciò che l’Europa non ha saputo ancora mettere in atto.

QUI PACIFICO
Di contro la Cina non è stata a guardare ed è diventata estremamente appetibile per i Paesi che sono fornitori mondiali di idrocarburi. Un passaggio che segna plasticamente la vera grande difficoltà del Vecchio Continente: non solo l’Europa registra un evidente calo interno della domanda, prodotto dalla contingenza economica sfavorevole data dalla crisi, ma si scontra con regolamenti obsoleti e con una mancata concertazione dei Paesi membri: niente altro che l’ennesima contraddizione di un continente che non parla con una voce univoca in uno dei settori maggiormente strategici come proprio il comparto energetico.

RISCHIO ESODO
Recchi ha anche evidenziato come sia rilevante a questo punto “evitare che le nostre imprese vadano via dall’Europa per inseguire costi dell’energia più bassi”. Qualora non fosse possibile incidere nel breve termine sul costo dell’energia, “occorre intervenire con altre leve regolatorie e legislative con l’obiettivo di rendere l’Ue più competitiva, per farla diventare il luogo migliore in cui fare impresa e scongiurando il declino industriale”, ha detto ieri all’Agi. E focalizzando il nocciolo della questione sui costi dell’energia: è lì che si determina la competitività dei singoli Paesi.

TREND PREZZI
Proprio alla luce dalla novità rappresentata dallo shale, è noto che tra il 2005 e il 2012 i prezzi nominali del gas per l’industria hanno scontato una flessione del 54% negli Stati Uniti. Invece in Europa sono saliti del 64%. Ragion per cui, è il ragionamento di Recchi, occorre urgentemente una sorta di grande pianificazione “adattata ai nuovi scenari”.

PROPOSTE
Ecco che l‘Eni propone una maggiore spinta alla voce “sviluppo di risorse da shale”, e rammenta il proprio sostegno alla rinegoziazione dei cosiddetti contratti take- or-pay con i maggiori fornitori di gas, senza dimenticare la sensibilità verso una potenziale nuova alleanza come potrebbe essere quella con partner asiatici. Inoltre l’Enel intende puntare su un concetto energetico a trecentosessanta gradi che gestisca l’insieme delle diverse le energie, come le rinnovabili, il carbone e il nucleare.

twitter@FDepalo

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