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La svolta, un po’ a sinistra, di Obama

I sondaggi parlano chiaro, e da un po’ di tempo recitano la stessa nenia: la popolarità di Obama è scesa ai minimi storici. La svolta del secondo mandato, e del futuro del partito democratico, si deciderà a stretto giro, nei prossimi mesi: c’è tempo più o meno un’annata per lanciare la corsa al 2016 – elezioni di mid term permettendo.

La soluzione pensata dall’Amministrazione Obama, è la svolta leftist: la virata dell’azione politica verso le istanze del populismo di sinistra, soprattutto sui temi economici e dei diritti. Da quanto racconta Politico, l’organizzazione dell’operazione è affidata John Podesta – già in rapporti di collaborazione con Obama, prima ancora capo dello staff della Casa Bianca con Clinton, successivamente fondatore del Center of American Progress (centro studi da “Terza via” clintoniana, un po’ progressista, un po’ centrista) e fratello di Tony, re dei fund raiser del Partito democratico.

Il passaggio, a tutti gli effetti sembra quasi obbligato, fosse altro per andare a cercare i consensi – dem – lì dove si trovano. La rotta da seguire inevitabilmente è quella del neo sindaco di New York Bill de Blasio e della senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. Sul successo mondiale di de Balsio, non vale nemmeno la pena di approfondire: tanto l’afro del figlio Dante e lo smackdown di famiglia (e che famiglia, con la moglie ex lesbica di colore, simbolo dell’oltre-la-multiculturalità), hanno fatto il giro del pianeta.

Warren invece, è la donna che stata già indicata dal New Republic (rivista abbastanza progressista), come la sfidante in pectore per la corsa a Washington di Hillary Clinton. Anti-establishment, fortemente allineata contro Wall Street e i grandi gruppi d’interesse, si è accaparrata il consenso di larga parte della costituency democratica anche attraverso la viralità raggiunta in rete dai video di alcuni suoi interventi. Michael Tomasky sul Daily Beast ha indicato la principale qualità di Warren, nell’essere dirompente, nel «riuscire a dire in due frasi, quello che i democratici voglio sentir dire da anni da un loro leader».

Non è la prima volta che Obama apre squarci di populismo economico, ma la tendenza è sempre stata quella di lasciar cadere le questioni nel giro di qualche mese: stavolta, però, sembrerebbe far sul serio. E il futuro possibile, sarebbe lo spostamento delle tematiche verso visioni meno centriste. Gli argomenti principali, sono quelli della disuguaglianza e del salario minimo – su cui il Congress Progressive Caucus sta spingendo il presidente a firmare un ordine esecutivo per intervenire intanto sugli appalti federali.

Ma la questione preoccupa il partito democratico, sia per quello che riguarda la diffusione e la comprensione in “aree meno liberal” di New York e del Massachusetts, sia per la possibile deriva radicale a cui certe posizioni possono portare: e il riferimento va all’altra sponda della trincea congressuale, con l’intransigenza del Tea Party che ha prodotto un calo di consensi al Gop e il controverso inseguimento all’immediatezza del consenso, poco programmatico, di cui tutti i populismi si nutrono – soprattutto in questo periodo.

Anche sul tema dei diritti e per certi versi sulla politica estera, si gioca la partita – e sempre con lo stesso ritmo e sullo stesso campo. È stata diffusa in queste ore la decisione di Obama, forte e sorprendente, di non partecipare all’inaugurazione dei Giochi olimpici invernali di Sochi e di inviare l’icona gay Billie Jean King (storica vincitrice della Battaglia dei sessi a Wimbledoon, nel 1973), come segno di protesta contro le chiuse posizioni di Putin sull’omessessualità. Decisione accolta con clamore positivo, da tutti i progressisti del mondo.

Ora c’è da aspettare per capire quanto la strategia sia un maquillage elettorale – e di consenso – oppure una vera e propria svolta politica. Su questo si incrocia il destino del Partito democratico, che secondo molti osservatori, farebbe bene a scegliere di perseguire una posizione più progressista, ma senza la necessità di aprire una spaccatura interna, avviando invece i dialoghi con le posizioni più centriste del partito. È stato Mark Warner, senior Senator dalla Virginia e portabandiera delle posizioni moderate all’interno dei democratici, ad ammettere che il loro compito politico è quello di generare posti di lavoro. Favorire la disuguaglianza, è stato dimostrato che non è la giusta scelta nella direzione indicata da Warner: resta da capire se l’equità lo sarà.

Ma soprattutto resta da capire se quell’equità che riempe i discorsi di Warren e de Blasio, ci sarà anche – e coerente – nelle azioni di Obama, che intanto ha deciso di non chiudere definitivamente Guantanamo e di mantenere ossigeno all’Nsa – contrariamente a molte posizioni della sinistra più populista.

 

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