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“Gli anni spezzati” in TV. Intervista a Giampiero Mughini su “Gli anni della peggio gioventù”

Ne “Gli anni della peggio gioventù”, Giampiero Mughini, racconta gli anni 70, anni indigesti e dagli esiti ancora irrisolti. Mughini li ha vissuti da vicino, a partire dall’omicidio Calabresi, crocevia dell’epoca e della Storia recente di questo paese. Attraverso le pagine del libro, Mughini fornisce un contributo di verità. Verità che in questo Paese è troppo spesso subordinata alle subculture ed alle scelte di parte.

MF: Perchè “peggio gioventù”? Il suo giudizio è completamente negativo? Eppure qualcuno potrebbe obiettare dicendo che quella generazione, comunque, ci ha provato.
G.Mughini: Con un certo numero di morti da una parte e dall’altra. Alcune centinaia di morti. Ha provato a fare cosa?

MF: Leggendo l’ultimo Sofri è difficile immaginarselo collegato con un atto violento e barbaro come un omicidio.
G.Mughini: Il Sofri del 1972 non esiste più. Il Sofri del 2009 ha poco a vedere o forse nulla con il Sofri del 1972. Così come nessuno di noi ha poco o nulla a che fare con quello che siamo stati tanti anni prima.
Io, come ho scritto nel libro, non sono certo che Sofri abbia dato il mandato ad uccidere. Per tanti motivi. Perché su questo punto la versione di Marino zoppica. Perché non è provato adeguatamente. E comunque le persone del 1972 erano persone estranee a quello che sono adesso.
Valerio Morucci che non ha scherzato a quel tempo, nel senso che andato con un mitra a Via Fani, ha partecipato al ratto di Aldo Moro, e che in questi anni è divenuto mio amico, mi ha detto: “Io non riesco neppure a immaginarmi, a ricordarmi quello che ero e ho fatto…”

MF: E’ proprio difficile calarsi in quella realtà. Ho trovato molta difficoltà.
G.Mughini: Per uno che non ci è stato è impossibile. Impossibile immaginare le parole, i climi, i furori, i volti. Di quei volti, ne sono morti centinaia.

MF: Bompressi è stato graziato, Pietrostefani si è dato alla macchia. Mi sembra che molti protagonisti di quell’epoca hanno cercato di sottrarsi alle loro responsabilità ed alla giustizia.
G.Mughini: Non sono d’accordo. Pietrostefani, è vero, si è dato alla macchia. E’ a Parigi dove non lo disturba nessuno. Mi stupisce il fatto che ci siano due pesi e due misure. Penso a Battisti ed a come in Italia lo si stia reclamando.
Se ci fosse una richiesta probabilmente… Probabilmente la giustizia Francese negherebbe. I Francesi hanno una loro idea di come i fatti sono andati in Italia.
Bompressi non si è sottratto. Bompressi, che non ha la corazza intellettuale di Sofri, ha molto sofferto la sua condizione di ex-assassino. Ha sofferto al punto che è crollato. Gli ultimi tempi andava in udienza in sedia rotelle. Ho trovato giustissimo chiudere la vicenda giudiziaria. La pena non può essere un martirio. Ha chiesto la grazia e l’ha avuta. Adriano non la chiede. Ma non è questo il punto. La grazia non deve essere richiesta con una supplica.
Ad Adriano non è stata data prima da un governo di centrodestra, poi da un governo di centrosinistra. Questo perché i Presidenti della Repubblica sanno bene che la maggioranza dell’opinione pubblica non è innocentista.
C’è una asimmetria tra quello che succede sui giornali, dove quelli di Lotta Continua hanno un posto di primo piano, e la realtà del paese. Nella realtà del paese, la maggior parte della gente non ha dubbi sul fatto che Lotta Continua ha portato a termine quell’azione. Molti di sinistra, molti ex-terroristi che conosco, tanti di quelli che sapevano come andavano le cose a quel tempo sono convinti delle responsabilità degli ambienti vicini a Lotta Continua. Ma non lo dicono. In questo senso, il mio libro, non è un atto di coraggio ma di temerarietà. Perchè disturba una delle icone della opinione pubblica di sinistra.

MF: Che ne pensa del libro di Mario Calabresi?
G.Mughini: Il libro di Calabresi è, nei confronti di Lotta Continua, uno schiaffo molto più violento che non una sentenza. Sofri, che si reputa molto elegante ma che ogni tanto scivola, ha scritto: – La Vedova Pinelli non leggerà mai il libro di Mario Calabresi.-

MF: Mi ha colpito il passaggio in cui ricorda le parole di Pietrostefani dopo le accuse di Marino. Pietrostefani dice che con uno come Marino non avrebbe parlato di politica ma al massimo di come era il tempo all’aeroporto di Caselle. Dove Marino, operaio Fiat, andava a prendere le copie di Lotta Continua per poi distribuirle.
G.Mughini: Erano dei borghesi che per un tratto della loro vita avevano giocato a fare i rivoluzionari e che poi, naturalmente, erano tornati nel calduccio delle loro famiglie, dei loro patrimoni familiari, delle loro carriere. Pietrostefani (dirigente ENI) aveva fatto un’ottima carriera, aveva fatto un ottimo matrimonio.
Non c’è nulla che tira la loro vergogna più di questo. Ognuno può fare il percorso, l’itinerario che vuole. Ma poi deve chiamarlo col proprio nome. Deve dire che è stato un pagliaccio.

MF: Già. Spesso queste cose non vengono dette.
G.Mughini: Chiamare le cose con il loro nome è l’impresa intellettuale più difficile che ci sia.

MF: Erri de Luca, oggi, sembra un asceta ma ha avuto un passato molto “attivo”.
G.Mughini: Erri de Luca, questo bisogna riconoscerglielo, ha detto: “Chiudiamo la vicenda
giudiziaria e vi racconteremo come è andata”. Ma la sua posizione non è la posizione di tutti i suoi ex-compagni.
Ho partecipato ad una conferenza dov’erano presenti sia Sofri che De Luca. Erri de Luca ed Adriano Sofri, che si trovavano a 5 metri di distanza, non si rivolgevano la parola.

MF: Il suo libro ha avuto delle recensioni sui giornali cosiddetti di sinistra?
G.Mughini: No, nessuna.

MF: quegli anni hanno portato delle conseguenze politiche i cui effetti sono visibili ancora oggi?
G.Mughini: hanno cambiato la struttura ossea di questo paese. Si è formata una cultura e una subcultura. Una subcultura che continua a reputare Calabresi responsabile della morte di Pinelli. Una subcultura per cui, quelli di sinistra, malgrado tutto, sono migliori.

MF: a suo avviso la deproletarizzazione della sinistra si può fare partire da quegli anni?
G.Mughini: No. Non penso. Lotta Continua rappresentava il 2% della sinistra di allora. Poi c’era la sinistra quella solida, quella istituzionale. Che rappresentava il 35%, il 40% del Paese. PSI, PCI, CGIL. Gli operai mica stavano dentro Lotta Continua. Stavano dentro la CGIL, dentro il PCI. Bisogna distinguere tra questa traiettoria impazzita (LC) e la realtà più complessiva della sinistra italiana.
Alcuni dei grandi dirigenti comunisti odiavano queste organizzazioni, queste forme di lotta. Amendola, tanto per dirne uno, odiava a morte questi gruppi. Loro erano la schegge impazzite. Avevano 20 anni, erano nuovi rispetto al tempo precedente. Per tante cose, certamente, erano originali.

MF: oggi ci sono schegge impazzite?
G.Mughini: Ho scritto recentemente a proposito dell’attentato a Bologna alla casa Paon. Con una tanica di benzina hanno appiccato il fuoco e due ragazzi di destra si sono salvati calandosi dalla finestra. La storia che si ripete è farsa. Non c’è alcuna base, alcun fondamento e radicamento nella società. Allora c’erano decine di migliaia di persone coinvolte. La tragedia è stata allora. Non si possono fare paragoni. Oggi episodi questo tipo sono delle farse.

MF: Pasolini nel 1975, in un editoriale sul Corriere della Sera, polemizza contro l’egemonia politica e culturale della DC e di un blocco clerico fascista.
G.Mughini: Ma quale cappa clierico fascista! In Italia, dopo un certo periodo, tutti i fiori hanno fiorito, tutte le opinioni, tutte le irregolarità. I democristiani, ai quali hanno ammazzato i loro uomini, non hanno mai chiesto la pena di morte. La pena di morte la chiese La Malfa che era un laico. Che era un azionista. La cappa clerico fascista è un’invenzione di quella subcultura di cui le ho detto.

MF: E’ giusto che siano sempre gli stessi a parlare di quei fatti? Esiste secondo lei la possibilità o addirittura la necessità che siano altri, le nuove generazioni, a parlarne.
G.Mughini: Nessuno lo impedisce. Certo quelli che sono stati i protagonisti, e ci sono stati dentro, hanno il diritto di parola. Certo nessuno impedisce a nessuno. Credo, però, che sia difficile senza essere stati almeno sfiorati un po’ da quella dinamiche, da quelle atmosfere. E’ difficile rivivere quel momento in cui ciascuno di noi seppe che Luigi Calabresi era stato assassinato.
Quel momento è stato un momento centrale. In quel momento seppi che qualcuno dei nostri poteva togliere la vita ad uno che stava andando a lavoro. E’ stata una cosa di cui non mi dimenticherò mai.
Uno dei punti più sgangherati della difesa di quelli che sono stati accusati di fare parte del commando, Bompressi e Pietrostefani, fu proprio quello. Dire di non ricordarsi dov’erano quando seppero della morte di Calabresi. Pietrostefani disse che lo aveva saputo, dopo 4 ore, alle 13. Da uno che aveva incontrato per strada.

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